Il diritto di voto è riconosciuto dall’art. 48 della Costituzione Italiana.
Esso è qualificato come:
Il diritto di voto (art. 48 ultimo comma Cost.) non può essere limitato se non per:
Questa norma rappresenta solo una possibilità per il Legislatore ordinario: il Parlamento è libero di stabilire o meno queste limitazioni al diritto di voto.
Limitazioni al diritto di voto nella legislazione ordinaria
Ai sensi del Testo Unico delle Leggi recanti norme per la disciplina dell’elettorato attivo e per la tenuta e la revisione delle liste elettorali (D.P.R. 20 marzo 1967, n. 223) sono esclusi dall’elettorato attivo i soggetti che si trovano in una delle condizioni previste dagli artt. 2 e 3.
Il testo originale dell’art. 2 prevedeva al primo comma (punto n. 1), l’esclusione del diritto di voto per gli interdetti e per gli inabilitati per infermità di mente.
Tale indicazione è stata rimossa dall’art. 11 della Legge 13 maggio 1978, n. 180.
La citata abrogazione ha avuto l’effetto di eliminare dal nostro ordinamento ogni residua causa di limitazione del diritto di voto per incapacità civile.
L’interdetto, pertanto, è titolare del diritto di voto: il riconoscimento, anche alle persone con disabilità psichiche, dei diritti politici rappresenta cioè un momento di maturazione e di progresso democratico e civile.
Norme che facilitano l’esercizio di voto
L’ordinamento italiano determina i casi nei quali occorre garantire l’esercizio del diritto di voto a certe categorie di persone in difficoltà:
Dal suddetto elenco risultano, pertanto esclusi gli interdetti e gli inabilitati per infermità di mente: per questi, infatti, non è prevista dalla Legge alcuna modalità di “supporto” nell’esercizio del diritto di voto (a meno che la Persona non si trovi anche in una delle condizioni numerate sopra).
Se si deve garantire lo spirito della Legge n. 180/1978, “portare” l’avente diritto interdetto (o inabilitato) a votare potrebbe rappresentare un condizionamento della sua volontà, che ne limiterebbe la capacità di autoaffermazione.
Se l’assistenza al voto dovesse servire, cioè, a sostituire le valutazioni critiche dell’assistito, tutto il meccanismo dell’esercizio di un diritto di voto non delegabile, ne apparirebbe profondamente snaturato.
Nella logica della riforma in materia di strumenti di protezione dei soggetti deboli, infatti, ai sensi della Legge n. 6/2004 che ha introdotto l’amministrazione di sostegno stabilendo, anche per gli istituti tradizionali (interdizione e inabilitazione), come fondamentale per lo sviluppo della persona la valorizzazione delle capacità residue, ha senso che l’interdetto e l’inabilitato esprimano il voto in totale autonomia, in quanto siano in grado di attribuire, per quanto possibile e in modo consapevole, valore alla propria scelta.
Solo in questi termini il voto potrebbe dirsi libero, così come previsto dalla Costituzione.
Riferimenti bibliografici:
Interdizione giudiziale e diritto di voto di Federico Girelli, www.eius.it/articoli/2006/007.asp
Infermità mentale, interdizione e diritto di voto di A.Manacorda, Foro Italiano, 1988, I, 357.
Giurisprudenza:
Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Siciliana, ordinanza 10 aprile 1984, in Giurisprudenza Costituzionale, 1985, II, 45;
Corte Costituzionale, sentenza 30 settembre 1987, n. 303, in Foro Italiano, 1988, I, 354 (Nota di V. Messerini)