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ADS Diritto alla audizione

Amministrazione di sostegno: il diritto all’audizione della beneficiaria.

La Corte di Cassazione, I sez. civile, con una ordinanza del 19 gennaio 2023, la n. 1667, interviene sul tema del diritto all’audizione del beneficiario/a in tema di amministrazione di sostegno.

(da Handylex.org)

I FATTI.

Nel 2018 il padre di una persona con disabilità chiedeva al Tribunale di Lagonegro di dichiarare l’interdizione della figlia per infermità mentale; la madre della stessa, si opponeva a tale richiesta.

Il Tribunale rigettava il ricorso e trasmetteva gli atti per l’eventuale apertura di un’amministrazione di sostegno al Giudice tutelare in sede, che con decreto nel 2020, nominava amministratrice di sostegno una dottoressa, stabilendone i compiti e poteri, in quanto “professionista qualificata ed esperta della materia”, ritenendo inopportuna la nomina sia di uno dei due genitori, stante il clima di profonda conflittualità esistente tra essi, sia di altre due persone che nel frattempo si erano rese disponibili, trattandosi di amici o affini dei genitori. La madre, proponeva reclamo avverso la nomina dell’amministratore lamentando che il provvedimento era stato adottato senza l’audizione della beneficiaria, quasi trentenne, in violazione dell’art. 407, comma 2, del codice civile, senza inoltre dare rilievo ad una missiva con cui la stessa beneficiaria aveva richiesto di avere la madre come amministratrice di sostegno.

Continuava sostenendo che il Giudice Tutelare aveva privato la figlia della possibilità di compiere atti di ordinaria amministrazione e di soddisfare autonomamente i suoi bisogni primari, in violazione sempre dell’art. 404 c.c., poiché aveva assegnato quasi tutta la pensione di invalidità spettante ad ella all’amministratrice di sostegno, che era nell’interesse della figlia avere accanto non una sconosciuta bensì la madre che da sempre si prendeva cura di lei al meglio (come dimostrato dalle prove acquisite) e che il Giudice Tutelare non poteva giustificare l’esclusione della madre dall’incarico per il rapporto conflittuale tra i genitori, poiché tale conflitto derivava solo dall’opposizione della madre a tenere chiusa la figlia in una casa di cura. Chiedeva solo di essere nominata lei come amministratrice di sostegno. Con decreto, la Corte d’appello di Potenza, competente avverso il reclamo proposto, lo rigettava sostenendo che non sussiste la nullità del procedimento, in quanto la figlia era stata sentita dal Tribunale all’udienza del 24/06/2019, nel corso del pregresso procedimento per interdizione, senza che la stessa avesse dedotto il pregiudizio derivatole dalla mancata rinnovazione dell’audizione. Continuava poi sostenendo che le disposte limitazioni alla capacità di agire erano connaturate all’istituto e che il potere discrezionale di scegliere l’amministratore di sostegno tra le persone indicate dal codice civile era stato correttamente esercitato dal giudice tutelare, poiché la missiva a firma della figlia, depositata in udienza, era priva di valore probatorio e “palesemente non era frutto delle capacità intellettive della stessa, quali si evincono dal verbale di audizione 24.6.19, contenente non poche dichiarazioni deliranti”, mentre l’accesa conflittualità tra i genitori rendeva senz’altro opportuno che amministratore di sostengo fosse un terzo, al fine di evitare possibili strumentalizzazioni di qualsiasi decisione adottata dal medesimo. La madre, in virtù della decisione della Corte d’Appello, non si arrendeva e decideva di proporre ricorso per cassazione, con ben tre motivi.

Con il primo motivo ha denunciato la mancata audizione della figlia in violazione della L. 18 del 2009 che ha ratificato in Italia, la Convenzione Onu per i diritti delle persone con disabilità, ritenendo tale adempimento imprescindibile anche quando la misura intervenga a seguito di una revoca di un’interdizione nel corso del cui procedimento il Giudice Istruttore abbia già provveduto all’esame dell’interessato, dovendo il Giudice tutelare valutarne in concreto le condizioni psico-fisiche al fine di emettere un provvedimento adeguato alla persona cui è destinato.

Con il secondo motivo ha lamentato la violazione e/o errata applicazione dell’art. 408 del Codice civile, per avere la Corte d’appello violato i criteri legali di scelta dell’amministratore di sostegno, prioritariamente orientati verso i familiari della beneficiaria, per un verso sminuendo la volontà dalla stessa manifestata definendone le richieste “deliranti”, senza per altro aver espletato alcuna consulenza tecnica e decontestualizzandole – e per altro verso valorizzando l’accesa conflittualità tra i genitori, genericamente indicata e di fatto insussistente, “in quanto il padre aveva abbandonato il domicilio coniugale, non interessandosi più dei percorsi terapeutici della figlia dal lontano 2003, a fronte della documentata cura e assistenza prestata dalla madre, già insegnante delle scuole superiori, che ha speso l’intera sua esistenza per assicurare alla figlia le migliori cure e per sottoporla a visita presso i più qualificati specialisti.

Il terzo motivo lamentava la violazione e/o errata applicazione dell’art. 404 del codice civile, per essere stata la figlia privata di qualsiasi diritto, nonché di compiere anche atti di ordinaria amministrazione tra cui quello di disporre della modesta pensione di invalidità di cui è titolare, per poter soddisfare autonomamente, i suoi primari bisogni di vita, senza specificare in alcun modo il grado di limitazione della sua capacità, che va connaturato alle sue condizioni psicofisiche, lamentando da ultimo una segregazione della figlia nella struttura dove attualmente si trova.

IL DIRITTO.

L’art. 407, comma 2, c.c. dispone che “Il giudice tutelare deve sentire personalmente la persona cui il procedimento si riferisce recandosi, ove occorra, nel luogo in cui questa si trova e deve tener conto, compatibilmente con gli interessi e le esigenze di protezione della persona, dei bisogni e delle richieste di questa. Il giudice tutelare pertanto provvede, assunte le necessarie informazioni e sentiti i soggetti di cui all’art. 406; in caso di mancata comparizione provvede comunque sul ricorso. Dispone inoltre, anche d’ufficio, gli accertamenti di natura medica e tutti gli altri mezzi istruttori utili ai fini della decisione.

La disposizione è in linea con i diritti sanciti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con disabilità, approvata il 13 dicembre 2006 e ratificata dall’Italia con l. n. 18 del 2009, ed in particolare con l’art. 1, per cui “Scopo della presente Convenzione è promuovere, proteggere e garantire il pieno ed uguale godimento di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali da parte delle persone con disabilità, e promuovere il rispetto per la loro intrinseca dignità” e con l’art. 12 in base al quale “Gli Stati Parti assicurano che tutte le misure relative all’esercizio della capacità giuridica forniscano adeguate ed efficaci garanzie per prevenire abusi in conformità alle norme internazionali sui diritti umani. Tali garanzie devono assicurare che le misure relative all’esercizio della capacità giuridica rispettino i diritti, la volontà e le preferenze della persona, che siano scevre da ogni conflitto di interesse e da ogni influenza indebita, che siano proporzionate e adatte alle condizioni della persona, che siano applicate per il più breve tempo possibile e siano soggette a periodica revisione da parte di una autorità competente, indipendente ed imparziale o di un organo giudiziario. Queste garanzie devono essere proporzionate al grado in cui le suddette misure incidono sui diritti e sugli interessi delle
persone”. Conformemente al quadro normativo nazionale e sovranazionale della materia, l’audizione personale del beneficiario dell’amministrazione di sostegno rappresenta un adempimento essenziale della procedura, non solo perché rispettoso della dignità della persona che vi sia sottoposta in ragione di una qualche disabilità, ma anche perché funzionale alla realizzazione dello scopo dell’istituto dell’amministrazione di sostegno, che è quello di accertare la ricorrenza dei relativi presupposti in maniera specifica e circostanziata, sia rispetto alle concrete ed attuali condizioni di menomazione fisica o psichica del beneficiario, sia rispetto alla loro incidenza sulla capacità del medesimo di provvedere ai propri interessi personali e patrimoniali, al fine di perimetrare i poteri gestori dell’amministratore in termini direttamente proporzionati ad entrambi i menzionati elementi, dovendo la misura risultare funzionale agli obiettivi individuali di tutela, altrimenti implicando un’ingiustificata limitazione della capacità di agire della persona.

E’ dunque evidente che a tali fini va accertata la volontà del beneficiario, le cui dichiarazioni, opposizioni o preferenze devono essere scrupolosamente registrate e valutate dal giudice.

In altri termini, l’audizione del beneficiario è strumentale alla ratio delle disposizioni in materia di amministrazione di sostegno, le quali, secondo l’insegnamento dei massimi organi giurisdizionali, devono essere interpretate in modo da valorizzare tutte le capacità del beneficiari non compromesse dalla disabilità fisica, psichica o sensoriale.

LA DECISIONE.

Le norme di diritto sopra richiamate, immutabili, hanno fatto sì, secondo la Corte di Cassazione, che la Corte d’Appello abbia erroneamente ritenuto sufficiente l’audizione effettuata un anno e mezzo prima della propria decisione, dinanzi al Tribunale investito del pregresso e diverso procedimento per interdizione, poiché l’audizione della ragazza avrebbe dovuta essere rinnovata all’attualità proprio per cogliere, come detto, le specifiche condizioni psico-fisiche dell’interessata e calibrare al meglio sulle sue esigenze i provvedimenti da adottare, tenendo conto, nei limiti del possibile, della sua volontà. Questo vizio rilevato è risultato assorbente rispetto alle ulteriori violazioni di legge lamentate con il secondo ed il terzo motivo. Infatti l’audizione del beneficiario è strumentale anche alla individuazione del soggetto più adeguato ad assumere i compiti e i poteri dell’amministrazione di sostegno. Attraverso l’audizione è inoltre possibile verificare l’effettiva volontà della beneficiaria, o eventualmente accertarne in modo appropriato la capacità di intendere e di volere.
Allo stesso modo, l’audizione costituisce uno strumento prezioso, e perciò imprescindibile, per calibrare secondo lo stretto necessario, le limitazioni della capacità della beneficiaria tenendo conto che la finalità dell’amministrazione di sostegno è la protezione delle persone fragili – ovvero di coloro che si trovano in difficoltà nel gestire le attività della vita quotidiana e i propri interessi, o che addirittura si trovano nell’impossibilità di farlo (l. n. 6 del 2004, art. 1) – e che la conseguente tutela deve realizzarsi con la minore limitazione possibile della sua capacità di agire, in modo da conciliare la predetta necessità con l’esigenza di non “mortificare” la persona, così da non intaccare la dignità personale del beneficiario. Esiste infatti un principio generale, riconducibile all’Art. 2 della Costituzione che impone di rispettare la sfera di libera volontà dell’amministrato e di conservarne il più possibile la capacità di agire, poiché quella che è stata declinata dalla dottrina come “tutela dei diritti dei più fragili” passa necessariamente attraverso la valorizzazione della loro dignità e l’adozione di provvedimenti “su
misura” proporzionati e adeguati alle effettive, concrete ed attuali esigenze del beneficiario, con l’obbiettivo di salvaguardare, sempre nei limiti del possibile, la capacità e l’autodeterminazione della persona.

CONCLUSIONI.

Da una attenta lettura del dettato normativo, non vi è la possibilità di deroga all’audizione del beneficiario; la norma infatti specifica che il giudice deve sentire la persona a cui il procedimento si riferisce, ponendo detto inciso come un obbligo e non come una facoltà. Ed inoltre non sono previsti casi in cui questo obbligo possa essere “schivato”. Esso è talmente importante da prevedere anche la possibilità che il giudice si rechi appositamente presso il beneficiario qualora sia impossibile provvedere all’audizione presso il tribunale. Infatti, se l’audizione non fosse stata ritenuta indispensabile dal legislatore non sarebbe stato necessario inserire questa precisazione, ne sarebbe stato necessario precisare che il giudicante debba tenere conto dei bisogni e delle richieste della persona da proteggere. Questo adempimento è infatti un momento fondamentale in cui il giudice riesce, anche grazie alla sua esperienza, a rendersi conto della reale situazione del soggetto da proteggere; è infatti solo in quel momento che il procedimento permette un contatto diretto tra giudicante e tutelando, fino ad allora noto allo stesso solo tramite atti e relazioni di terzi.

 

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No all’amministrazione di sostegno se l’infermità è solo fisica e l’interessato si oppone

No all’amministrazione di sostegno se l’infermità è solo fisica e l’interessato si oppone

La nomina dell’amministratore deve privilegiare il rispetto dell’autodeterminazione dell'interessato (Cassazione, ordinanza n. 29981/2020)

(tratto da https://www.altalex.com)  di Giuseppina Mattiello

In tema di amministrazione di sostegno, l'equilibrio della decisione deve essere garantito dalla necessità di privilegiare il rispetto dell'autodeterminazione della persona interessata, così de discernere le fattispecie a seconda dei casi: se cioè la pur riscontrata esigenza di protezione della persona (capace ma in stato di fragilità) risulti già assicurata da una rete familiare all'uopo organizzata e funzionale, oppure se, al contrario, non vi sia per essa alcun supporto e alcuna diversa adeguata tutela; nel secondo caso il ricorso all'istituto può essere giustificato, mentre nel primo non lo è affatto, in ispecie ove all'attivazione si opponga, in modo giustificato, la stessa persona del cui interesse si discute.

È questo il principio di diritto espresso dalla Suprema Corte nell’ordinanza n. 29981 del 31 dicembre 2020 (testo in calce), nell’ambito di un procedimento per la nomina dell’amministratore di sostegno.

Nella fattispecie, la beneficiaria lamentava in Cassazione, tra l’altro, la violazione dell’art. 404 c.c., “con riferimento alla valutazione del presupposto della sua incapacità a provvedere ai propri interessi”, considerata “la sua condizione di soggetto capace di intendere e di volere e riluttante all’amministrazione di sostegno”.

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso fondato, osservando che il giudice dell’appello ha concluso per la sussistenza dei presupposti per la nomina di un'amministrazione di sostegno per garantire "la corretta gestione del patrimonio della reclamante".

Ma una tale motivazione concretizza, per la Suprema Corte, la falsa applicazione dell'art. 404 c.c. e della ratio che presidia l'istituto, ovvero la tutela della persona che, per effetto di un'infermità o di una menomazione fisica o psichica, si trovi nell'impossibilità anche parziale o temporanea di provvedere ai propri interessi.

L'istituto dell'amministrazione di sostegno, “pur se non esige che la persona versi in uno stato di vera e propria incapacità d'intendere o di volere, presuppone comunque il riscontro di una condizione attuale di menomata capacità che la ponga nell'impossibilità di provvedere ai propri interessi; e quindi per converso esclude che il sostegno debba esser disposto nei confronti di chi si trovi, invece, nella piena capacità di determinarsi, anche se in condizioni di menomazione fisica”.

La procedura, in altre parole, “non può essere piegata ad assicurare la tutela di interessi esclusivamente patrimoniali, ma deve essere volta, più in generale, a garantire la protezione alle persone fragili in relazione alle effettive esigenze di ciascuna, ferma la necessità di limitare nella minor misura possibile la capacità di agire”.

Ora, “salvo che non sia provocata da una patologia psichica, tale da rendere l'interessato inconsapevole finanche del bisogno di assistenza, anche l'opposizione alla nomina costituisce espressione di autodeterminazione, e come tale non può non esser considerata dal giudice nel contesto della decisione che a lui si richiede”.

Nel caso in esame, la c.t.u. aveva rilevato la più completa capacità della beneficiaria “affetta da una menomazione fisica grave come la cecità assoluta che certamente la mette in una posizione di inferiorità..(ma) assolutamente in grado di intendere e di volere, di capire quindi ciò di cui ha bisogno e le aggrada conservando la capacità di decidere e la possibilità di ottenere ciò di cui necessita ordinariamente attraverso le persone che ha scelto e che formano per lei una rete adeguata di sostegno e risorse".

La corte d'appello ha, invece, omesso ogni considerazione di tale decisivi aspetti, così finendo per distorcere l'istituto rispetto alle sue intrinseche finalità.

Il giudice di legittimità ha quindi cassato il decreto impugnato, con rinvio alla medesima corte d'appello la quale, in diversa composizione, rinnoverà l'esame uniformandosi al principio di diritto sopra richiamato.

Allegati:
Scarica questo file (2020_12_31_Cassazione ordinanza-29981 ADS se paziente lucidamente decide non necessario Ads.pdf)Corte Cassazione Ordinanza 29981[Ordinanza del 31 dicembre 2020]56 kB

Sentenza Tar Piemonte 189/2014

N. 00189/2014 REG.PROV.COLL.

N. 01162/2011 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1162 del 2011, proposto da:
Associazione "Promozione Sociale", U.T.I.M. - Unione per la Tutela degli Insufficienti Mentali ed U.L.C.E.S. - Unione per la Lotta Contro l'Emarginazione Sociale; rappresentato e difeso dall'avv. Roberto Carapelle, con domicilio eletto presso il suo studio in Torino, via San Pio V, 20;

contro

Consorzio Intercomunale dei Servizi Socio Assistenziali "C.I.S.S. 38";

per l'annullamento

- della deliberazione del Consiglio di Amministrazione del Consorzio Intercomunale dei Servizi Socio Assistenziali "C.I.S.S. 38" n. 37 del 07.07.2011, affissa all'Albo del Consorzio per quindici giorni consecutivi a decorrere dal 05.08.2011, avente ad oggetto: "Linee di indirizzo per la gestione delle liste d'attesa per l'accesso alla prestazione per i cittadini con handicap grave la cui non autosufficienza psichica e/o fisica sia stata accertata dalle aziende sanitarie locali. Modifiche dei criteri di valutazione per gli inserimenti in strutture semiresidenziali";

- dei pareri favorevoli resi ai sensi dell'art. 49 comma 1 del D.Lgs. 267/00 resi in data 07.07.2011 dal Direttore e dal Responsabile del Servizio Economico - Finanziario del CISS 38, allegati all'impugnata deliberazione;

- di qualunque altro atto presupposto, connesso e consequenziale, ivi compresa, ove occorra, la deliberazione del CISS 38 n. 11 del 15.03.2011 pubblicata il 23.03.2011.

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 dicembre 2013 la dott.ssa Ofelia Fratamico e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Con il ricorso in esame le associazioni ricorrenti – tutte aventi, quale scopo statutario, la tutela delle esigenze e dei diritti delle fasce più deboli della popolazione, con particolare riguardo ai minori, agli handicappati o insufficienti mentali, agli anziani ed ai malati cronici non autosufficienti – hanno chiesto l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia, a) della deliberazione n. 37 del 7.07.2011 del Consiglio di Amministrazione del Consorzio Intercomunale dei Servizi Socio Assistenziali C.I.S.S. 38 avente ad oggetto “Linee di indirizzo per la gestione delle liste d’attesa per l’accesso alla prestazione per i cittadini con handicap grave la cui non autosufficienza psichica e/o fisica sia stata accertata dalle aziende sanitarie locali. Modifiche dei criteri di valutazione per gli inserimenti in strutture semiresidenziali”; b) dei pareri favorevoli resi il 7.07.2011 dal Direttore e dal Responsabile del Servizio economico-finanziario del CISS 38; c) di qualunque altro atto presupposto,connesso e consequenziale.

A sostegno della loro domanda le ricorrenti hanno dedotto 1) violazione di legge e di regolamento per violazione dell’art. 54 l.n. 289/2002, del D.P.C.M. 29.11.2001, dell’art. 117 e dell’art. 32 Cost., degli artt. 35 e 50 l. Reg. Piemonte n. 1/2004, della DGR Piemonte n. 51-11389 del 23.12.2003 e dell’art. 23 Cost.; 2) eccesso di potere per carenza dei presupposti, travisamento, contraddittorietà, difetto di motivazione, arbitrarietà dell’azione amministrativa, disparità di trattamento.

Con ordinanza n. 381/2012, a seguito di attività istruttoria e del deposito da parte del Consorzio di tutti i documenti del procedimento, il Collegio ha accolto l’istanza cautelare.

All’udienza pubblica dell’11.12.2013 la causa è stata, infine, trattenuta in decisione.

DIRITTO

Con il ricorso in epigrafe l’Associazione Promozione Sociale, la UTIM – Unione per la Tutela degli Insufficienti Mentali e la ULCES - Unione per la Lotta contro l’Emarginazione Sociale hanno lamentato l’illegittimità, in primo luogo per violazione dell’art. 54 l.n.289/2002 e del DPCM 29.11.2001, del provvedimento del 7.07.2011 (e degli atti connessi) con cui il CISS 38 “a seguito della riduzione dei finanziamenti che sta determinando l’impossibilità di garantire una risposta a tutti coloro che fanno richiesta di prestazioni … anche se rientranti nei livelli essenziali di assistenza” ha approvato “le modifiche dei criteri da adottare …”qualora si rendesse “necessario predisporre delle liste d’attesa per l’accesso a strutture semiresidenziali” (provvedimento poi seguito dalla concreta creazione di liste d’attesa cfr. doc. n. 8 del CISS).

Tale censura è fondata e meritevole di accoglimento: la previsione di liste di attesa per la fruizione, da parte dei cittadini con handicap grave, del servizio di inserimento in strutture semiresidenziali - che rientra a tutta evidenza nei LEA, livelli essenziali di assistenza (cfr. doc. n. 8 delle ricorrenti), - precludendo di fatto ad alcuni aventi diritto la tempestiva fruizione del servizio stesso, viola, infatti, le predette norme, come pure l’art. 19 della L.R. n. 1/2004, per cui “la Giunta regionale, sulla base di quanto previsto dalla normativa nazionale in materia … recepisce… previa concertazione con i comuni e con gli altri soggetti interessati di cui all'articolo 14, comma 2, lettera a), i livelli essenziali e omogenei delle prestazioni”(comma1) e, (comma 2) “ I livelli essenziali di cui al comma 1 costituiscono la risposta minima ed omogenea che i comuni tramite gli enti gestori istituzionali sono tenuti a garantire su tutto il territorio piemontese”.

In materia di LEA anche la giurisprudenza della Corte Costituzionale ha, del resto, più volte statuito che l’avvenuto inserimento nel secondo comma dell'art. 117 del nuovo Titolo V della Costituzione, fra le materie di legislazione esclusiva dello Stato, della "determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale" ha attribuito al legislatore statale un fondamentale strumento per garantire il mantenimento di un’adeguata uniformità di trattamento sul piano dei diritti di tutti i soggetti, pur in un sistema caratterizzato da un livello di autonomia regionale e locale decisamente accresciuto e che la conseguente forte incidenza sull'esercizio delle funzioni nelle materie assegnate alle competenze legislative ed amministrative delle Regioni e delle Province autonome comporta che queste scelte, almeno nelle loro linee generali, siano operate dallo Stato con legge, che dovrà inoltre determinare adeguate procedure e precisi atti formali per procedere alle specificazioni ed articolazioni ulteriori che si rendano necessarie nei vari settori (sentt n. 88 del 2003, n. 134 del 2006 e, da ultimo, n. 8 del 2011). A tale proposito, sulla scorta della generale previsione di cui all’art. 1, comma 6, del d.lgs. n. 502 del 1992, l'art. 6 del decreto-legge n. 347 del 2001, convertito in legge n. 405 del 2001, ha disciplinato il procedimento per la determinazione dei livelli essenziali di assistenza (cc.dd. LEA) da concludersi con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri: e su questa base è stato adottato il d.P.C.M. 29 novembre 2001. L'art. 54 della legge n. 289 del 2002 ha poi confermato i livelli di assistenza così individuati (nei quali sono inclusi anche quelli afferenti al servizio oggetto di causa). In taluni casi, inoltre, il legislatore statale, tramite alcune specifiche disposizioni legislative, ha anche proceduto a definire direttamente alcune prestazioni come livelli essenziali (cfr., sul punto, TAR Napoli, Campania, sez. I, n. 4740 del 2007).

In tale quadro gli Enti locali sono tenuti a garantire i relativi servizi, utilizzando tutti gli strumenti a loro disposizione per reperire i necessari fondi, senza che su tale obbligo possano incidere i sempre più pesanti tagli economici (cfr. TAR Piemonte, Sez.II, 14.03.2013 n. 326; TAR Lombardia, Milano, 24.03.2011 n. 784).

Alla luce delle argomentazioni che precedono il ricorso deve essere, dunque, accolto, con conseguente annullamento degli atti impugnati ed assorbimento di ogni altra doglianza.

Per la natura e la complessità della controversia sussistono, infine, giusti motivi per compensare le spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando,

- accoglie il ricorso e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati;

- compensa le spese di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.

Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 11 dicembre 2013 con l'intervento dei magistrati:

Vincenzo Salamone, Presidente

Savio Picone, Primo Referendario

Ofelia Fratamico, Primo Referendario, Estensore

 

   

 

   

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

   

 

   

 

   

 

   

 

   

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 31/01/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

Diritto a nominare un ADS per futura decisione

 Ordinanza n. 12998/2019 della Corte di Cassazione

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Sent Cassazione - Diritto all'indennità di accompagnamento durante il ricovero in ospedale

Prospettive assistenziali     n. 166  aprile-giugno 2009

 

DIRITTO ALL’INDENNITÀ DI ACCOMPAGNAMENTO DURANTE IL RICOVERO IN OSPEDALE

La Corte di appello di Napoli dichiarava inammissibile l’impugnazione di F. M. P., quale procuratrice di F. M. C., avverso la sentenza del Tribunale di Napoli nella parte in cui aveva respinto la domanda di condanna l’Inps al pagamento dei ratei d’indennità di accompagnamento. I giudici di appello ponevano a fondamento della propria decisione il rilievo fondante che l’assistito, dichiarato totalmente inabile e con necessità di assistenza continua dalla Commissione sanitaria di primo grado, era ricoverato presso una comunità terapeutica a totale carico dello Stato e pertanto non era data al medesimo un’azione per accertare una situazione che pur essendo giuridicamente rilevante non integrava da sola la fattispecie costitutiva di un qualsiasi diritto soggettivo.

F. M. P., nella sua qualità, ricorreva in cassazione sulla base di due motivi di censura. L’Inps depositava procura.

 

Motivi della decisione

Con il primo mezzo d’impugnazione la ricorrente, deducendo erronea applicazione delle leggi 118/1971 e 18/1980, assume che proprio le S.U. di questa Suprema Corte nella sentenza n. 483/2000 richiamata dai giudici di appello affermano che possono essere accertati in sede giudiziaria i fatti costitutivi di una determinata posizione soggettiva.

Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando violazione della legge 180/1978, allega che non esistono ricoveri perpetui potendo sempre verificarsi che la prestazione ospedaliera venga meno. Le censure, che in quanto strettamente connesse per ragioni logiche e giuridiche, vanno trattate congiuntamente sono fondate.

Invero, la sentenza impugnata nel rigettare la domanda dell’assistito non tiene affatto conto che costituisce principio di diritto vivente nella giurisprudenza di questa Corte, quello secondo il quale ai fini del diritto all’indennità di accompagnamento, prevista dalla legge 11 febbraio 1980, n. 18 in favore dell’inabile non deambulante o non autosufficiente, rileva esclusivamente il requisito sanitario descritto dall’articolo 1 della stessa legge mentre non si richiede anche la condizione del non ricovero dell’inabile in istituto, la quale si pone come elemento esterno alla fattispecie e non costituisce ostacolo al riconoscimento del diritto all’indennità bensì all’erogazione della stessa per il tempo in cui l’inabile sia ricoverato a carico dell’Erario e non abbisogni dell’accompagnatore (Cassazione 1549/2000 e 7917/1995).

Questa stessa Corte, del resto, ha sancito altresì che in tema di indennità di accompagnamento, il ricovero presso un ospedale pubblico non costituisce “sic et simpliciter” l’equivalente del ricovero in istituto ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della legge n. 18 del 1980 – che esclude dall’indennità di accompagnamento gli “invalidi civili gravi ricoverati gratuitamente in istituto” – e, pertanto, il beneficio può spettare all’invalido grave anche durante il ricovero ove si dimostri che le prestazioni assicurate dall’ospedale medesimo non esauriscono tutte le forme di assistenza di cui il paziente necessita per la vita quotidiana (Cassazione 2270/2007) e che in tema di indennità di accompagnamento per coloro che subiscono trattamenti di chemioterapia il beneficio può spettare all’invalido grave anche durante il ricovero in ospedale pubblico ove si dimostri che le prestazioni assicurate dall’ospedale medesimo non esauriscono tutte le forme di assistenza di cui il paziente necessita per la vita quotidiana (Cassa­zione 25569/2008).

A tanto aggiungasi che con sentenze n. 9146/2002 e 11161/2003 questo Giudice di legittimità, ha ritenuto ammissibile l’azione di mero accertamento dello stato invalidante a prescindere da qualsiasi domanda di erogazione di una determinata prestazione, ben potendosi configurare l’interesse ad agire in relazione ad uno “status”, quale quello di invalidità totale, potenzialmente produttivo di una serie indeterminata di diritti ricollegata dall’ordinamento alla condizione fisica dell’invalido.

Il ricorso, pertanto, va accolto e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Napoli in diversa composizione che si atterrà al principio sopra richiamato.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Napoli in diversa composizione.

www.fondazionepromozionesociale.it

 

Sentenza Corte costituzionale 114/2019

Corte costituzionale

N. 114 SENTENZA - 7 marzo - 10 maggio 2019

Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale.

 Capacita' giuridica e di agire - Limiti alla capacita'  di  donare  -   Donazione da parte del beneficiario di amministrazione di sostegno.

- Codice civile, art. 774, primo comma, primo periodo. 

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Decreto del Giudice tutelare di Varese 20 dic 2011

Decreto del Giudice tutelare di Varese

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Sentenza Tar Piemonte 199/2014

N. 00199/2014 REG.PROV.COLL.

N. 00983/2012 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 983 del 2012, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
ASSOCIAZIONE PROMOZIONE SOCIALE, U.T.I.M. - UNIONE PER LA TUTELA DEGLI INSUFFICIENTI MENTALI, U.L.C.E.S. - UNIONE PER LA LOTTA CONTRO L'EMARGINAZIONE SOCIALE, rappresentate e difese dall'avv. Roberto Carapelle, con domicilio eletto presso Roberto Carapelle in Torino, via San Pio V, 20;

contro

REGIONE PIEMONTE, rappresentata e difesa dall'avv. Giovanna Scollo, con domicilio eletto presso Giovanna Scollo in Torino, piazza Castello, 165;

e con l'intervento di

ad adiuvandum:
ASSOCIAZIONE ALZHEIMER PIEMONTE, A.G.A.F.H. - ASSOCIAZIONE GENITORI ADULTI E FANCIULLI HANDICAPPATI, ASSOCIAZIONE VOLONTARI G.R.H. - GENITORI RAGAZZI HANDICAPPATI, CITTADINANZATTIVA REGIONE PIEMONTE O.N.L.U.S., SINDACATO PENSIONATI ITALIANI C.G.I.L. DELLA PROVINCIA DI TORINO, rappresentati e difesi dall'avv. Roberto Carapelle, con domicilio eletto presso Roberto Carapelle in Torino, via San Pio V, 20;
COMUNE DI NICHELINO, COMUNE DI COLLEGNO, COMUNE DI GRUGLIASCO, COMUNE DI MONCALIERI, COMUNE DI RIVOLI, CONSORZIO INTERCOMUNALE SOCIO-ASSISTENZIALE “CISA 12”, CONSORZIO SERVIZI IN.RE.TE., CONSORZIO INTERCOMUNALE DI SERVIZI- CIDIS, CONSORZIO INTERCOMUNALE DEI SERVIZI SOCIO-ASSISTENZIALI- UNIONE DEI COMUNI DEL CIRIACESE E DEL BASSO CANAVESE, CONSORZIO INTERCOMUNALE SERVIZI SOCIALI DI PINEROLO, CONSORZIO “MONVISO SOLIDALE”, CONSORZIO SOCIO ASSISTENZIALE DEL CUNEESE, CONSORZIO PER I SERVIZI SOCIO-ASSISTENZIALI DELLE VALLI GRANA E MAIRA, CONSORZIO DEI SERVIZI SOCIO-ASSISTENZIALI DEL CHIERESE, COMUNITÀ MONTANA DELLE ALPI DEL MARE, COMUNE DI CARMAGNOLA, COMUNE DI LA LOGGIA, COMUNE DI PINEROLO, rappresentati e difesi dall'avv. Giuseppe Michieletto, con domicilio eletto presso T.A.R. Piemonte Segreteria in Torino, corso Stati Uniti, 45;
COMUNE DI TORINO, rappresentato e difeso dagli avv. Donatella Spinelli, Marialaura Piovano, con domicilio eletto presso Donatella Spinelli in Torino, via Corte D'Appello, 16;
ASSOCIAZIONE SENZA LIMITI O.N.L.U.S., RINA BORIN, MICHELE SCHIENA, MARIA OGNIBENE, MARIA ROLANDO, rappresentati e difesi dall'avv. Roberto Cavallo Perin, con domicilio eletto presso Roberto Cavallo Perin in Torino, via Bogino, 9;

per l'annullamento

- della deliberazione della Giunta Regionale Piemonte 30 luglio 2012 n. 45-4248 avente ad oggetto: "Il nuovo modello integrato di assistenza residenziale e semiresidenziale socio-sanitaria a favore delle persone anziane non autosufficienti. Modifica D.G.R. n. 25-12129 del 14.09.09 e D.G.R. n. 35-9199 del 14.07.08. Revoca precedenti deliberazioni";

- del parere favorevole reso dal C.O.RE.SA. nella seduta del 24/05/2012;

- di qualunque altro atto presupposto, connesso e consequenziale a quello impugnato;

nonchè per la declaratoria di nullità e/o inefficacia e/o per l'annullamento

previa sospensione in via cautelare dell'efficacia

- della nota prot. n. 9113/DB1900 in data 14/12/2012 della Direzione Politiche Sociali per la Famiglia della Regione Piemonte, avente ad oggetto "chiarimenti relativi all'applicazione delle D.G.R. 45-4248 del 30 luglio 2012";

- di qualunque altro atto presupposto, connesso e consequenziale a quello impugnato, con particolare riferimento alle disposizioni contenute nella D.G.R. n. 42-8390 del 10/03/08;

nonchè per l'annullamento, previa sospensione in via cautelare dell'efficacia,

- della deliberazione della Giunta Regionale Piemonte 25 giugno 2013 n. 14-5999 avente ad oggetto "Interventi per la revisione del percorso di presa in carico della persona anziana non autosufficiente in ottemperanza all'ordinanza del TAR Piemonte n. 141/2013";

- di qualunque altro atto presupposto, connesso e consequenziale a quello impugnato;

nonchè per l'annullamento,

previa (parziale) sospensione in via cautelare dell'efficacia,

- della deliberazione della Giunta Regionale Piemonte 2 agosto 2013 n. 85-6287 avente ad oggetto "Approvazione del piano tariffario delle prestazioni di assistenza residenziale per anziani non autosufficienti come previsto dalla D.G.R. 45-4248 del 30 luglio 2012";

- di qualunque atto presupposto, connesso e consequenziale a quello impugnato.

 

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Piemonte;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 gennaio 2014 il dott. Antonino Masaracchia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

1. Con il ricorso introduttivo della presente causa le associazioni ricorrenti – in quanto formazioni sociali prive di scopo di lucro, aventi quale scopo statutario la promozione e la difesa, sotto diverse ma analoghe forme, delle categorie sociali più deboli come i minori, gli handicappati, gli insufficienti mentali, gli anziani non autosufficienti – hanno chiesto l’annullamento, previa sospensione cautelare, della delibera della Giunta Regionale del Piemonte, n. 45-4248 del 30 luglio 2012, recante “Il nuovo modello integrato di assistenza residenziale e semiresidenziale socio-sanitaria a favore delle persone anziane non autosufficienti. Modifica D.G.R. n. 25-12129 del 14.09.09 e D.G.R. n. 35-9199 del 14.07.08. Revoca precedenti deliberazioni”, insieme al parere favorevole reso dal CO.RE.SA. (Consiglio Regionale di Sanità ed Assistenza) nella seduta del 24 maggio 2012.

L’impugnato “nuovo modello”, nel superare quello in precedenza introdotto con d.G.R. n- 17-15226 del 30 marzo 2005, si è concentrato sulla rete delle strutture socio-sanitarie residenziali per anziani non autosufficienti, proponendosi di migliorare gli “aspetti di flessibilità del servizio” e quelli di “integrazione con il servizio di continuità assistenziale”, sulla scorta di quanto previsto dal Piano Socio-Sanitario Regionale approvato il 3 aprile 2012. Il tutto, peraltro, nell’affermato rispetto dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) di cui al d.P.C.M. 29 novembre 2001, Allegato n. 1.C, sub punto 9 (“Attività sanitaria e socio-sanitaria nell’ambito di programmi riabilitativi a favore di anziani”). Obiettivi specifici della revisione organizzativa, in particolare, sarebbero a) una “maggiore flessibilità progettuale, organizzativa, gestionale e strutturale, al fine di renderlo maggiormente adeguato ai variegati bisogni che attualmente connotano la popolazione anziana non autosufficiente”; b) un “più efficiente utilizzo delle risorse sanitarie al fine di incrementare i posti letto convenzionabili”; c) fornire appropriate risposte “alle esigenze di continuità assistenziale degli anziani in dimissione al termine dei ricoveri ospedalieri”. Si è, infine, demandato ad un successivo provvedimento la definizione del modello di remunerazione delle prestazioni di assistenza residenziale (c.d. piano tariffario).

 

2. I motivi di impugnazione si dirigono avverso tre specifici contenuti del nuovo piano di organizzazione.

Anzitutto, sono oggetto di contestazione le previsioni riguardanti il percorso di continuità assistenziale nell’ambito di strutture residenziali socio-sanitarie (Allegato n. 1, par. n. 8, della d.G.R.), laddove si prevedono tre fasi dei servizi residenziali extra-ospedalieri (fase intensiva; fase estensiva; fase di lungoassistenza), con fissazione di una durata massima (rispettivamente: 10 giorni, con tariffa giornaliera a carico del Servizio sanitario regionale; 20 giorni, con tariffa sempre a carico del Servizio sanitario regionale; 30 giorni, con quota di compartecipazione utente/Comune pari al 50%). Si prevede però che, a partire dal 31° giorno della fase di lungoassistenza, la retta rimane “a carico totale della persona”. Vengono in proposito avanzate le censure di irragionevolezza (in quanto “la durata massima di una fase terapeutico-assistenziale non può essere fissata in via astratta da una deliberazione regionale”), di violazione degli artt. 22 e 23, commi 3 e 5, della legge della Regione Piemonte n. 1 del 2004 (norme che, per l’accesso ai servizi, richiedono una previa “valutazione del bisogno che garantisca interventi e servizi appropriati e personalizzati” e che stabilisca la durata dell’intervento, senza spazio quindi per un’astratta durata predefinita), di contraddittorietà intrinseca (rispetto all’obiettivo di “flessibilità” fatto proprio dalla medesima d.G.R.), e di violazione dei LEA per l’area dell’integrazione socio-sanitaria (d.P.C.M. 29 novembre 2001, Allegato n. 1.C) anche sotto il profilo di una violazione “a contrario” dell’art. 23 Cost.

Con specifico riferimento alla “presa in carico” dell’anziano, poi, l’impugnata d.G.R. è contestata nella parte in cui essa prevede che, “Qualora le risorse previste dal Progetto individualizzato non siano immediatamente disponibili”, l’apposito U.V.G. (Ufficio di Valutazione Geriatrica, previsto presso ciascuna ASL) “provvede alla compilazione di graduatorie [...] mediante l’attribuzione ad ogni richiedente di un punteggio derivante dalla somma della valutazione sociale e sanitaria”, con la specificazione che “Le graduatorie devono essere aggiornate sulla base dell’inserimento nelle liste d’attesa dei nuovi valutati, sulla base degli avvenuti inserimenti, dei decessi, delle dimissioni/trasferimenti e delle rivalutazioni effettuate in seguito alle variazioni delle condizioni sanitarie e/o sociali” (così l’Allegato n. 6, paragrafo “Selezione e attivazione”). Le associazioni ricorrenti si riferiscono qui, nuovamente, alla violazione dei LEA, parlando di “illegittimo diniego di prestazioni obbligatorie, le quali vengono ad essere posticipate sine die, in base ad una non meglio precisata indisponibilità delle risorse”.

Oggetto di contestazione è, infine, la previsione per la quale i pazienti che non fruiscono dell’integrazione tariffaria (da parte dell’ente gestore delle funzioni socio-assistenziali) devono provvedere in proprio al pagamento dei trasferimenti in ambulanza per l’effettuazione di prestazioni diagnostiche e specialistiche (Allegato n. 1, par. n. 5.5, ultimo cpv.). Si tratterebbe, secondo le ricorrenti, di vere e proprie “prestazioni sanitarie” le quali non potrebbero essere poste a carico del paziente; e si solleva anche un profilo di disparità di trattamento tra utenti, “in quanto il pagamento del trasferimento è dovuto esclusivamente da coloro che – per scelta del medico – debbono effettuare esami che non sono erogati direttamente nell’ambito della struttura residenziale”.

 

3. Si è costituita in giudizio la Regione Piemonte, in persona del Presidente pro tempore della Giunta regionale, depositando documenti e concludendo per il rigetto del gravame.

Nel segnalare che le disposizioni contestate “sono in realtà presenti anche in delibere precedenti” mai impugnate, la Regione evidenzia la necessità di non confondere “le cure sanitarie con l’assistenza” e si riferisce anch’essa alla normativa sui LEA precisando – quanto al primo dei tre profili di impugnazione – che, dopo la durata massima di sessanta giorni delle prestazioni, i costi graveranno sull’utente “salvo che le condizioni di disabilità si consolidino in una vera e propria condizione di non autosufficienza” nel qual caso verranno attivati “percorsi di lungo periodo anche in RSA con la compartecipazione del SSN per il 50%”. Sulle graduatorie per la presa in carico degli anziani la Regione si richiama “ad insopprimibili esigenze di equilibrio finanziario e di razionalizzazione della spesa pubblica”, precisando comunque “la percorribilità di ipotesi alternative anche di tipo domiciliare”. Quanto infine ai trasporti in ambulanza, le censure di parte ricorrente non sarebbero supportate “da alcun riferimento normativo o giurisdizionale”.

Ne è seguita una memoria di replica delle ricorrenti, depositata il 16 novembre 2012.

 

4. Con ordinanza n. 609 del 2012 questo TAR ha accolto parzialmente la domanda cautelare, con esclusivo riferimento all’istituzione delle liste di attesa per la presa in carico dell’anziano non autosufficiente, in accoglimento della censura incentrata sulla violazione dei LEA.

 

5. Nelle more del giudizio la Regione Piemonte- Direzione Politiche Sociali e Politiche per la Famiglia, con nota prot. n. 9113/DB1990 del 14 dicembre 2012, ha comunicato a tutte le ASL regionali, nonché alle associazioni dei soggetti gestori dei servizi de quibus, che – vista la sospensione cautelare, in parte qua, dell’impugnata d.G.R. n. 45-4248 del 30 luglio 2012 – per la disciplina delle liste di attesa “rimane in vigore la normativa precedente ossia le disposizioni contenute nella D.G.R. n. 42-8390 del 10 marzo 2008”.

Con motivi aggiunti depositati dapprima il 22 febbraio 2013 e, dopo rinuncia, ridepositati il 13 marzo 2013, le associazioni ricorrenti hanno domandato l’annullamento, previa sospensione cautelare, anche della sopravvenuta nota, facendo valere il vizio di violazione del giudicato cautelare (con invocazione della norma di cui all’art. 21-septies della legge n. 241 del 1990) e ribadendo, per illegittimità derivata, la perdurante lesione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). Al contempo, sono state chieste misure di ottemperanza all’ordinanza cautelare n. 609 del 2012 di questo TAR.

La Regione Piemonte ha formulato difese (memoria depositata il 22 marzo 2013) invocando la sostanziale sovrapponibilità della d.G.R. del 2012 con quella del 2008, in punto di disciplina sulle liste di attesa.

Con ordinanza n. 141 del 2013 questo TAR ha accolto la nuova domanda cautelare, ancora per violazione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), al contempo ordinando alla Regione, quale Giudice dell’ottemperanza cautelare, “di apprestare idonee misure organizzative al fine di soddisfare le esigenze connesse alla presa in carico degli anziani, così come imposto dalla richiamata normativa sui LEA”,

 

6. Stante l’inerzia nel provvedere della Regione, le associazioni ricorrenti hanno nuovamente domandato a questo TAR l’adozione di misure attuative, ai sensi degli artt. 59 e 114, comma 6, cod. proc. amm.

La Regione, nel difendersi (memoria depositata il 28 giugno 2013), ha riferito dell’avvenuta adozione della d.G.R. n. 14-5999, del 25 giugno 2013, recante “Interventi per la revisione del percorso di presa in carico della persona anziana non autosufficiente in ottemperanza all’ordinanza del TAR Piemonte n. 141/2013” contenente, a suo dire, “misure atte a ottemperare a quanto richiesto dal TAR”.

Questo TAR, con ordinanza n. 281 del 2013, ha quindi preso atto dell’avvio di “un percorso di spontanea esecuzione” ed ha quindi respinto la domanda di esecuzione delle associazioni ricorrenti, “anche in assenza di specifiche contestazioni della sopravvenuta d.G.R.”.

 

7. Successivamente, con nuovi motivi aggiunti depositati il 21 ottobre 2013, le associazioni ricorrenti hanno impugnato anche l’appena citata d.G.R. n. 14-5999, del 25 giugno 2013, insieme alla d.G.R. n. 85-6287, del 2 agosto 2013, recante “Approvazione del piano tariffario delle prestazioni di assistenza residenziale per anziani non autosufficienti come previsto dalla D.G.R. 45-4248 del 30 luglio 2012”.

Con i nuovi motivi di impugnazione le ricorrenti hanno lamentato la violazione sostanziale del “giudicato cautelare” di questo TAR, ai sensi dell’art. 21-septies della legge n. 241 del 1990, in quanto – a loro dire – le sopravvenute deliberazioni di Giunta si proporrebbero “di cancellare il problema delle liste di attesa riducendo il numero degli aventi diritto alle prestazioni o, comunque, posticipando quanto più possibile la presa in carico residenziale dell’anziano”. Viene così contestato, nel dettaglio, il sistema delineato dalla d.G.R. n. 14-5999, del 25 giugno 2013, consistente nell’attribuzione di un punteggio ai vari pazienti e nella conseguente esclusione della residenzialità per coloro cui venga attribuito un punteggio inferiore a 19 punti. Del resto – proseguono le ricorrenti – anche per gli anziani che si vedessero attribuire un punteggio maggiore o uguale a 19, “il percorso non è scevro da ostacoli e complicazioni di ogni sorta”, in quanto si prevedono “priorità di accesso” con la possibilità di posticipare nel tempo gli ingressi perfino per i casi definiti “urgenti”. Viene quindi riproposta, nuovamente, la censura di violazione dei LEA, in termini analoghi al ricorso introduttivo.

Con riguardo al nuovo piano tariffario, di cui alla parimenti impugnata d.G.R. n. 85-6287, del 2 agosto 2013, si contesta l’avvenuto innalzamento dei costi delle prestazioni a carico dell’utente. Ciò avverrebbe, anzitutto, in violazione delle quote di compartecipazione tra Servizio sanitario regionale ed utente/Comune stabilite dal d.P.C.M. 29 novembre 2001, in particolare con riferimento ai malati di Alzheimer (da equipararsi ai malati gravi psichiatrici) inseriti nei “Nuclei Alzheimer Temporanei” (NAT) e nei Centri diurni. Altra illegittimità discenderebbe dalla mancata previsione di un “minimo vitale”, per cui le tariffe sono dovute anche se il soggetto bisognoso versa in stato di povertà: sono qui invocate a parametro le norme della d.G.R. n. 39-11190, del 6 aprile 2009 (recante “Requisiti organizzativi, gestionali e strutturali dei Centri Diurni e dei Nuclei per persone affette da Morbo di Alzheimer ed altre demenze”: doc. n. 8 del Comune di Torino), e della d.G.R. n. 37-6500, del 23 luglio 2007 (recante “Criteri per la compartecipazione degli anziani non autosufficienti al costo della retta e criteri per l'erogazione degli incentivi previsti dalla Delib.G.R. 31 luglio 2006, n. 2-3520 a favore di comuni ed enti gestori”, non depositata in giudizio). Oggetto di doglianza è anche la previsione (confermativa di quella già contenuta del par. n. 5.5 dell’Allegato n. 1 della d.G.R. n. 45-4248 del 30 luglio 2012, ed impugnata nel ricorso introduttivo) che pone a totale carico del paziente i trasferimenti in ambulanza per l’effettuazione di prestazioni diagnostiche e specialistiche non erogabili nell’ambito della struttura residenziale. Si solleva, infine, il vizio di “difetto di istruttoria” per la d.G.R. n. 85-6287.

 

8. Sono successivamente intervenute nel presente giudizio, ad adiuvandum, le seguenti associazioni di categoria: Associazione Alzheimer Piemonte; Associazione Genitori Adulti e Fanciulli Handicappati (A.G.A.F.); Associazione Volontari G.R.H. (Genitori Ragazzi Handicappati); Cittadinanzattiva Regione Piemonte o.n.l.u.s.; Sindacato Pensionati Italiani CGIL- Provincia di Torino. Tutte le predette associazioni, nel richiamarsi ai motivi di impugnazione già proposti dalle associazioni ricorrenti, hanno in particolare posto l’accento sulle conseguenze negative derivanti dall’ultima delle deliberazioni impugnate (la d.G.R. n. 85-6287, del 2 agosto 2013) la quale, nell’aumentare le tariffe e nell’imporre numerosi servizi aggiuntivi a pagamento, “rende più gravoso per i malati e per le loro famiglie il percorso sanitario e assistenziale”.

Sono intervenuti ad adiuvandum, con atto collettivo (depositato in giudizio il 23 dicembre 2013), anche i Comuni di Carmagnola, di La Loggia e di Pinerolo, nonché, con diverso atto collettivo (depositato in giudizio il 18 novembre 2013), i Comuni di Nichelino, di Collegno, di Grugliasco, di Moncalieri e di Rivoli, insieme al Consorzio Intercomunale socio-assistenziale “CISA 12”, al Consorzio Servizi IN.RE.TE., al Consorzio Intercomunale di Servizi- CIDIS, al Consorzio Intercomunale dei Servizi socio-assistenziali- Unione dei Comuni del Ciriacese e del Basso Canavese, al Consorzio Intercomunale Servizi Sociali di Pinerolo, al Consorzio “Monviso Solidale”, al Consorzio Socio Assistenziale del Cuneese, al Consorzio per i Servizi socio-assistenziali delle Valli Grana e Maira, al Consorzio dei Servizi socio-assistenziali del Chierese ed alla Comunità Montana delle Alpi del Mare. Tutti gli Enti intervenienti, nel richiamarsi ai motivi di gravame delle associazioni ricorrenti, in particolare quelli concernenti la d.G.R. n. 14-5999 del 25 giugno 2013 (sulle nuove modalità di presa in carico degli anziani non autosufficienti) e la d.G.R. n. 85-6287, del 2 agosto 2013 (il nuovo piano tariffario), si soffermano in particolare sull’equiparazione delle varie fasce assistenziali in punto di compartecipazione alla spesa dell’utente/Comune, equiparazione avvenuta, a loro dire, “a prescindere dalle esigenze di cura e dall’intensità della risposta sanitaria” e senza idonea istruttoria e/o motivazione. Vengono anche sollevati nuovi e diversi motivi di impugnazione.

Anche il Comune di Torino, con diverso atto (depositato in giudizio il 22 novembre 2013), è intervenuto ad adiuvandum, precisando il proprio interesse all’accoglimento del gravame “essendo, da una parte, garante dei diritti delle persone che si trovano nel territorio cittadino” e, dall’altra parte, “ente gestore dei servizi socio-assistenziali per il territorio” nella cui veste “è tenuto a fornire gli interventi previsti dalla normativa in materia di LEA”.

Con ulteriore atto collettivo depositato il 17 dicembre 2013, hanno spiegato intervento ad adiuvandum anche l’Associazione Senza Limiti o.n.l.u.s. ed i signori Rina Borin, Michele Schiena, Maria Ognibene e Maria Rolando, i quali si definiscono tutti comepersone anziane, gravemente malate e non autosufficienti, tuttora in attesa che l’Azienda Sanitaria territorialmente competente si faccia carico della loro assistenza. Le loro doglianze – riguardanti, specificamente, il problema delle liste d’attesa per la presa in carico dell’anziano non autosufficiente – ripercorrono, nella sostanza, quelle già avanzate dalle associazioni ricorrenti.

 

9. Con memoria depositata in giudizio il 22 novembre 2013 la Regione Piemonte ha controdedotto rispetto alle censure da ultimo sollevate con i secondi motivi aggiunti (e riguardanti la d.G.R. n. 14-5999, del 25 giugno 2013, sulle nuove modalità di presa in carico degli anziani non autosufficienti, e la d.G.R. n. 85-6287, del 2 agosto 2013, sul nuovo piano tariffario). Sul problema delle liste di attesa, in particolare, l’amministrazione ha ricordato le conclusioni tracciate dal “Piano Nazionale di Contenimento dei Tempi di Attesa 2010-2012” (di cui all’art. 1, comma 280, della legge n. 266 del 2005) ed ha evidenziato gli aspetti ritenuti migliorativi introdotti dalle impugnate delibere del 2013.

 

10. Alla camera di consiglio del 27 novembre 2013, chiamata per la discussione dell’incidente cautelare sui secondi motivi aggiunti, la trattazione è stata rinviata al merito.

In vista della pubblica discussione, le associazioni ricorrenti hanno depositato una memoria (13 dicembre 2013) con la quale hanno sinteticamente ribadito tutte le doglianze di cui ai precedenti atti di impugnazione.

Anche i Comuni ed i Consorzi intervenienti hanno depositato (in pari data) una memoria difensiva, volta a ribadire l’illegittimità degli atti impugnati.

La Regione Piemonte ha brevemente replicato con memoria depositata il 24 dicembre 2013, provvedendo anche al deposito di un verbale del 13 novembre 2013 concernente “Riunione congiunta del Tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti regionali con il Comitato Permanente per la Verifica dei Livelli Essenziali di Assistenza”.

Alla pubblica udienza del 15 gennaio 2014, dopo ampia discussione orale, la causa è stata quindi trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Viene in decisione il ricorso proposto da tre associazioni senza fini di lucro, rappresentative degli interessi collettivi degli anziani non autosufficienti, avverso alcune deliberazioni della Giunta regionale del Piemonte adottate tra il 2012 ed il 2013 e concernenti le modalità di erogazione dei servizi di assistenza residenziale e semi-residenziale resi da parte delle apposite strutture socio-sanitarie dislocate sul territorio regionale.

L’impugnazione, in particolare, è anzitutto diretta avverso la d.G.R. n. 45-4248, del 30 luglio 2012, con la quale è stato approvato un nuovo “modello integrato di assistenza” per gli anziani non autosufficienti. Oggetto di contestazione, in tale quadro, sono in primo luogo le previsioni che stabiliscono una durata massima e prestabilita delle tre fasi di assistenza (intensiva, estensiva e di lungoassistenza) con la precisazione che, dal 61° giorno, la retta per la lungoassistenza rimane a totale carico della persona (Allegato n. 1, par. n. 8, della d.G.R. cit.).

In secondo luogo, è impugnata la previsione secondo la quale, allorché le risorse per realizzare il “Progetto individualizzato” non siano immediatamente disponibili, la presa in carico dell’anziano è sottoposta a liste di attesa, previa compilazione di apposite graduatorie mediante l’attribuzione, ad ogni richiedente, di un punteggio (derivante dalla somma della valutazione sociale e sanitaria) (Allegato n. 6, par. “Selezione e attivazione”, della d.G.R. cit.). Peraltro, a seguito dei pronunciamenti cautelari di questo TAR, siffatta previsione sulle liste di attesa è stata via via modificata dalla Regione Piemonte, dapprima stabilendo il ritorno in vigore della disciplina previgente (di cui alla d.G.R. n. 42-8390, del 10 marzo 2008) e dipoi mediante l’adozione di una nuova d.G.R., la n. 14-5999 del 25 giugno 2013, con la quale sono state dettate nuove misure organizzative. Tutti questi successivi atti, peraltro, sono stati impugnati dalle associazioni ricorrenti, in quanto ritenuti non satisfattivi perché riproduttivi, nella sostanza, delle medesime illegittimità già denunciate con il ricorso introduttivo.

In terzo luogo, sono oggetto di contestazione le previsioni concernenti i trasferimenti in ambulanza degli utenti delle strutture residenziali e semi-residenziali, per l’effettuazione di prestazioni diagnostiche e specialistiche non reperibili presso la struttura ospitante. Qui si prevede che gli utenti privi di convenzione (ossia, con integrazione tariffaria da parte dell’ente gestore) dovranno provvedere in proprio al pagamento del costo del trasferimento (Allegato n. 1, par. n. 5.5, ultimo cpv., della d.G.R. n. 45-4248, del 30 luglio 2012, peraltro poi confluito nell’Allegato A, par. n. 1.7, della successiva d.G.R. n. 85-6287 del 2 agosto 2013, impugnata con i secondi motivi aggiunti).

Infine oggetto di ricorso è anche il nuovo Piano tariffario delle prestazioni di assistenza residenziale per gli anziani non autosufficienti, approvato dalla Giunta regionale con la d.G.R. n. 85-6287, del 2 agosto 2013, soprattutto laddove sono state innalzate le quote di compartecipazione ai costi delle prestazioni a carico dell’utente/Comune.

A sostegno dell’impugnativa sono anche intervenute – mediante deposito di diversi atti di interventi ad adiuvandum – altre associazioni rappresentative di interessi collettivi, oltre a diversi Comuni (e Comunità montane) del territorio piemontese ed oltre a singoli soggetti, anziani non autosufficienti, tuttora in attesa di ricevere le prestazioni socio-sanitarie di cui hanno bisogno.

Resiste in giudizio la Regione Piemonte.

 

2. Deve anzitutto premettersi la sicura legittimazione ad agire delle associazioni ricorrenti, tutte aventi lo scopo statutario di proteggere le categorie sociali più deboli, in particolare quella degli anziani non autosufficienti, come emerge dai rispettivi statuti, depositati in giudizio. Si tratta quindi di soggetti sicuramente portatori degli interessi collettivi di categoria azionati nel presente giudizio.

Al contempo, devono considerarsi ammissibili, ai sensi dell’art. 28 cod. proc. amm., i vari atti di intervento ad adiuvandum proposti in corso di causa. Deve in proposito ricordarsi che, secondo la giurisprudenza amministrativa, l’intervento adesivo dipendente non richiede la lesione di un interesse giuridicamente rilevante, potendo essere svolto per far valere un interesse di mero fatto, sul quale si riverberano indirettamente gli effetti dei provvedimenti impugnati con il ricorso giurisdizionale (cfr. ex multis, di recente, TAR Marche, sez. I, n. 592 del 2013). I soggetti intervenienti nel presente giudizio, invero, fanno indubbiamente valere un proprio interesse di fatto, collegato e dipendente rispetto alle posizioni giuridiche azionate con il ricorso principale. Tanto è a dire, anzitutto, per i Comuni, le Comunità montane e per i Consorzi intercomunali per l’erogazione dei servizi socio-sanitari, in quanto si tratta di enti che istituzionalmente concorrono allo svolgimento, in favore degli anziani non autosufficienti, delle attività oggetto degli atti impugnati. Analogamente, peraltro, è a dirsi per le varie associazioni rappresentative degli interessi delle c.d. fasce deboli della popolazione, ivi comprese quelle che, per proprio scopo statutario, pur non rivolgendosi direttamente alla protezione degli interessi degli anziani, si prefiggono tuttavia lo scopo di tutelare altre fasce deboli della popolazione le quali, di fatto, possono subire un pregiudizio indiretto dalle lamentate illegittimità (si pensi, ad esempio, alle associazioni che hanno, quale proprio scopo statutario, la protezione dei pensionati o, più in generale, delle famiglie più disagiate, essendo quindi evidente un loro interesse al miglioramento delle condizioni di vita anche degli anziani non autosufficienti, nella misura in cui tale miglioramento può comportare un beneficio riflesso pure per i soggetti espressamente oggetto della loro tutela). A fortiori, è senz’altro ammissibile l’intervento adesivo spiegato nel presente giudizio, direttamente, da alcuni soggetti anziani non autosufficienti, i quali si trovano tuttora in attesa di ricevere le cure e l’assistenza necessarie per la propria dignitosa sopravvivenza.

Allo stesso tempo, però, deve ricordarsi che l’interveniente ad adiuvandum non può ampliare il thema decidendum, quale delimitato dall’atto introduttivo del giudizio, e quindi non può aggiungere motivi nuovi rispetto a quelli già introdotti nel processo, ma solo sviluppare quelli dedotti dal ricorrente (cfr., ex multis, di recente: Cons. Stato, sez. V, n. 2325 del 2012; Id., sez. VI, n. 698 del 2011; TAR Campania, Napoli, sez. VI, n. 760 del 2013; TAR Basilicata, n. 55 del 2012). Ciò, in quanto la situazione giuridica soggettiva che autorizza la sua partecipazione al processo, coincidente con un interesse di mero fatto all’accoglimento del ricorso, qualifica la sua posizione solamente come “indiretta” rispetto a quella principale che pertiene al ricorrente, e non è quindi tale da consentire l’introduzione di domande nuove, proponibili solo dal dominus del processo. Sono pertanto inammissibili tutti i motivi nuovi che i vari interventori ad adiuvandum hanno proposto nell’ambito del presente giudizio, con specifico riferimento alle doglianze concernenti i seguenti aspetti (tutti riconducibili alla d.G.R. n. 85-627, del 2 agosto 2013, impugnata con i secondi motivi aggiunti, ma non specificamente trattati, nelle censure in diritto, da parte delle associazioni ricorrenti): avvenuta equiparazione tra le varie fasce assistenziali in punto di compartecipazione alla spesa; spostamento della spesa gravante sull’utente/Comune non accompagnata da una riduzione dei minutaggi di impiego del personale sanitario (ed altri similari); mancato adeguamento del nuovo Piano tariffario al tasso di inflazione programmata 2014; l’eliminazione dalle prestazioni a carico delle ASL della fornitura di pannoloni.

 

3. Entrando nel merito del gravame, deve anzitutto farsi chiarezza in ordine all’ambito di intervento delle impugnate delibere regionali, al fine di un corretto inquadramento giuridico delle fattispecie sub iudice.

Si tratta di previsioni rientranti nell’area della c.d. “integrazione socio-sanitaria”, quale definita, a livello legislativo, dall’art. 3-septies del d.lgs. n. 502 del 1992 (introdotto dalla d.lgs. n. 229 del 1999): “Si definiscono prestazioni sociosanitarie tutte le attività atte a soddisfare, mediante percorsi assistenziali integrati, bisogni di salute della persona che richiedono unitariamente prestazioni sanitarie e azioni di protezione sociale in grado di garantire, anche nel lungo periodo, la continuità tra le azioni di cura e quelle di riabilitazione” (così il comma 1 dell’art. 3-septies cit.). Tali prestazioni comprendono sia le “prestazioni sanitarie a rilevanza sociale”, ossia “le attività finalizzate alla promozione della salute, alla prevenzione, individuazione, rimozione e contenimento di esiti degenerativi o invalidanti di patologie congenite e acquisite” (art. 3-septies cit., comma 2, lett. a), sia le “prestazioni sociali a rilevanza sanitaria”, cioè “tutte le attività del sistema sociale che hanno l'obiettivo di supportare la persona in stato di bisogno, con problemi di disabilità o di emarginazione condizionanti lo stato di salute” (art. 3-septies cit., comma 2, lett. b).

Nell’ambito dell’area dell’integrazione socio-sanitaria il d.P.C.M. del 29 novembre 2001 (Allegato n. 1.C) è intervenuto a delineare i Livelli Essenziali di Assistenza (c.d. LEA) ai sensi dell’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 502 del 1992, ossia quelle prestazioni che devono essere garantite dal Servizio Sanitario, in modo uniforme, su tutto il territorio nazionale, e che sono erogate o a titolo gratuito o con partecipazione alla spesa, nelle forme e secondo le modalità previste dalla legislazione vigente (così l’art. 1, comma 3, del d.lgs. n. 502 del 1992). I livelli così stabiliti sono stati poi confermati, a livello legislativo, dall’art. 54 della legge n. 289 del 2002.

L’area dell’integrazione socio-sanitaria, così individuata, deve peraltro essere inquadrata anche nell’ambito del “sistema integrato di interventi e servizi sociali”, di cui alla legge-quadro n. 388 del 2000, il quale – dal canto suo – si riferisce al complesso dei servizi sociali quali definiti dall’art. 128, comma 2, del d.lgs. n. 112 del 1998, ossia alle “attività relative alla predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti ed a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, nonché quelle assicurate in sede di amministrazione della giustizia”. La legge della Regione Piemonte n. 1 del 2004 – variamente invocata, in questa sede, dalle associazioni ricorrenti – ha dettato norme proprio per la realizzazione del sistema regionale integrato di interventi e servizi sociali (cfr. l’art. 1), richiamandosi sia alle definizioni di “servizi sociali”, di cui alle leggi statali, sia alla nozione di “integrazione socio-sanitaria” di cui all’art. 3-septies del d.lgs. n. 502 del 1992.

Non vi è dubbio che l’oggetto delle impugnate delibere di Giunta regionale ha riguardo proprio all’integrazione socio-sanitaria, in quanto (come peraltro emerge dalla lettura del “modello” adottato dalla Regione) la “presa in carico” dell’anziano non autosufficiente richiede unitariamente, ed in modo quasi indistinguibile, sia prestazioni sanitarie sia azioni di protezione sociale, così come prevede la già citata definizione di cui all’art. 3-septies, comma 1, del d.lgs. n. 502 del 1992. Ciò del resto è affermato esplicitamente, ad esempio, nell’Allegato A dell’impugnata d.G.R. n. 14-5999, del 25 giugno 2013, laddove – nel delineare il sistema della presa in carico della persona anziana – si riconosce che le prestazioni sono “atte a soddisfare, mediante percorsi assistenziali integrati, bisogni di salute della persona, che richiedono unitariamente prestazioni sanitarie e azioni di protezione sociale”.

A differenza di quanto sostenuto dalla Regione resistente, pertanto, gli aspetti sanitari sono ben presenti e radicati nelle attività da erogarsi; per converso, è comunque vero che altra cosa è il percorso sanitario strettamente ospedaliero il quale, comunque – e proprio in omaggio alla nozione di cui all’art. 3-septies, comma 1, del d.lgs. n. 502 del 1992 –, non può essere considerato a sé stante, ma deve essere necessariamente fatto confluire nel percorso continuativo di cura e di riabilitazione che, in base alla legge, va garantito, anche nel lungo periodo, all’anziano non autosufficiente.

Deve inoltre precisarsi che – se pure è vero, come evidenziato dalla Regione, che l’impugnato nuovo modello organizzativo varato dalla Giunta regionale piemontese appare riproduttivo, per alcuni aspetti, di precedenti disposizioni mai impugnate – è pur vero, però, che le nuove delibere di Giunta regionale hanno completamente ri-disciplinato, fin dalle fondamenta, il complessivo sistema di assistenza socio-sanitaria per gli anziani non autosufficienti, con l’intenzione di revisionarlo e quindi di porsi in soluzione di continuità rispetto al passato. Tale considerazione è, di per sé, sufficiente ai fini di ritenere la tempestività delle odierne impugnazioni, dirette avverso provvedimenti che non appaiono affatto meramente confermativi di quelli in precedenza in vigore.

 

4. Così delineato il quadro normativo di riferimento, ragioni espositive e sistematiche inducono ad iniziare la disamina delle censure di parte ricorrente dal secondo degli aspetti portati all’attenzione di questo TAR, ossia la problematica delle “liste di attesa” per la presa in carico dell’anziano non autosufficiente.

In proposito non può non rilevarsi che l’originaria predisposizione del modello (di cui all’Allegato n. 6, paragrafo “Selezione e attivazione”, della d.G.R. n. 45-4248, del 30 luglio 2012) è stata notevolmente incisa – anche a seguito delle pronunce cautelari di questo TAR – dalla sopravvenuta d.G.R. n. 14-5999, del 25 giugno 2013, il cui Allegato A (intitolato “Modalità di presa in carico della persona anziana non autosufficiente da parte della rete regionale dei servizi socio-sanitari”) ha riscritto tutte le regole rilevanti per la presente disamina. Ne deriva l’improcedibilità, per sopravvenuta carenza di interesse, della parte del ricorso principale che aveva riguardato l’impugnazione dell’Allegato n. 6 della precedente d.G.R., in quanto sostituita dalla d.G.R. successiva. Analoga conclusione, peraltro, è da tracciare con riferimento ai primi motivi aggiunti di ricorso, con i quali si era contestata la nota regionale n. 9113/DB1900, del 14 dicembre 2012, che, soltanto in considerazione dell’avvenuta sospensione cautelare (ad opera dell’ordinanza n. 609 del 2012 di questo TAR) del sistema di cui alla d.G.R. del 2012, aveva riportato in vigore il precedente sistema (di cui alla d.G.R. n. 42-8390, del 10 marzo 2008). Essendo ormai entrato in vigore il nuovo sistema di regolazione delle liste di attesa, di cui alla sopravvenuta d.G.R. n. 14-5999, del 25 giugno 2013, anche il precedente modello del 2008 deve ormai considerarsi venuto meno, in una con l’interesse all’impugnazione della nota regionale che l’aveva riportato in vigore.

 

4.1. L’impugnazione dell’Allegato A della d.G.R. n. 14-5999, del 25 giugno 2013, è fondata.

In base a tale Allegato la persona che ha presentato richiesta di un intervento di sostegno della rete dei servizi socio-sanitari (e che, per far ciò, ha già presentato un’impegnativa del proprio medico di base) viene dapprima sottoposta ad una “valutazione sanitaria” il cui risultato, se “pari a 5 o superiore”, determina il riconoscimento di “persona non autosufficiente”. A quel punto subentra un’ulteriore valutazione, ad opera dell’UVG (Unità di Valutazione Geriatrica, presente presso ciascuna ASL), volta ad individuare il “progetto residenziale” più adatto al caso di specie (a scelta tra i seguenti, in ordine decrescente di intensità: residenzialità; residenzialità temporanea; semiresidenzialità; domiciliarità). Qui si prevede l’attribuzione al paziente di un ulteriore punteggio dal quale “scaturisce l’individuazione dell’intensità assistenziale”: solo chi raggiunge un punteggio pari o superiore a 19 avrà quindi pieno diritto di ottenere una risposta socio-sanitaria, rimanendo comunque salva la possibilità discrezionale, per i casi di punteggio inferiore, di individuare un progetto residenziale previa adeguata motivazione dell’UVG. Subentra, a questo punto, la valutazione dell’“urgenza” del progetto individuale di residenzialità, sempre da parte dell’UVG, con la precisazione che un punteggio pari o superiore a 24 equivale di per sé all’urgenza. Si prevede quindi che i casi valutati “differibili” non abbiano un tempo di risposta, “ma dovranno essere monitorati periodicamente”, in vista di una successiva nuova valutazione dell’UVG; per i casi valutati “non urgenti”, si prevede “il tempo standard di risposta di un anno dalla valutazione”; i progetti valutati come “urgenti” dovranno invece “trovare risposta attuativa entro 90 giorni dalla valutazione”. Si demanda, infine, ad un successivo provvedimento dirigenziale (di competenza della Direzione regionale delle Politiche sociali, di concerto con la Direzione regionale della Sanità) l’adozione di appositi “modelli di rilevazione dei ‘Tempi di attesa previsti’ e dei ‘Tempi medi di Attesa effettivi’ per ciascuna tipologia di prestazione erogata”.

Tale modello – come denunciato dalle associazioni ricorrenti – presenta almeno tre criticità. Anzitutto, non tutte le persone, pur riconosciute “non autosufficienti” da un punto di vista prettamente sanitario (in quanto hanno ottenuto il punteggio di “5” all’esito dell’apposita valutazione sanitaria), potranno accedere ai servizi socio-sanitari, in quanto è necessario il raggiungimento dell’ulteriore punteggio minimo di “19” all’esito della valutazione demandata all’UVG. In secondo luogo, anche coloro che hanno raggiunto il punteggio minimo di 19 potrebbero essere fatti rientrare tra i casi “differibili” e quindi vedersi procrastinato, a tempo indeterminato, l’accesso ai servizi. In terzo luogo, perfino i casi riconosciuti come “urgenti”, e quindi con punteggio pari a 24 o superiore, potranno dover attendere fino a novanta giorni per l’accesso ai servizi. In altre parole, non esiste neanche un caso (nemmeno quello definito “urgente”) che possa aspirare all’inserimento immediato nelle strutture. Rilevante, in tale quadro, è quanto affermato dal dott. Pietro Landra, geriatra, le cui dichiarazioni (relazione del 15 luglio 2013) sono depositate in giudizio dalle associazioni ricorrenti: “... la soglia del 24 punti, individuata per definire l’urgenza, che è l’unica che garantisce l’intervento, anche se non immediato (entro 3 mesi, dopo aver atteso altri 3 mesi per ottenere la visita U.V.G.), corrisponde a una condizione praticamente di totale dipendenza, ad esempio, ad un soggetto in situazione terminale, povero e senza famiglia: una persona che avrebbe bisogno di un ricovero immediato. [...] oltretutto i pazienti con questo punteggio, per i motivi sovraesposti, sono una minoranza esigua ed irrilevante”. Si tratta di affermazioni non specificamente contestate, nel merito, dalla Regione Piemonte, la quale – nei propri scritti difensivi – si è limitata ad osservazioni del tutto generiche, prive del necessario supporto scientifico; non è pertanto necessario, in questa sede, l’esperimento di apposita verificazione giurisdizionale volta ad appurare l’attendibilità scientifica delle affermazioni del dott. Landra.

Ne deriva un quadro complessivo denotato, a tutta evidenza, da carenze non accettabili, e quindi illegittime, a fronte del diritto degli anziani non autosufficienti – diritto sancito dall’ordinamento e in particolare dalla normativa sui LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) – di vedersi garantite cure ed assistenza socio-sanitarie almeno nella misura minima imposta per legge e direttamente derivante dal “nucleo irriducibile” del diritto alla salute protetto dall’art. 32 Cost. Rilevante, in proposito, è quanto stabilito dall’Allegato 1.C, punto 9 (“Assistenza territoriale e residenziale”) del d.P.C.M. 29 novembre 2001, a norma del quale rientrano nei Livelli Essenziali di Assistenza dell’area dell’integrazione socio-sanitaria anche l’“Attività sanitaria e socio-sanitaria nell’ambito di programmi riabilitativi a favore di anziani”, ricomprendenti sia le “prestazioni di cura e recupero funzionale di soggetti non autosufficienti in fase intensiva ed estensiva” (prestazioni, peraltro, a totale carico del Servizio sanitario), sia le “prestazioni terapeutiche, di recupero e mantenimento funzionale delle abilità per non autosufficienti in regime residenziale, ivi compresi interventi di sollievo” (con compartecipazione dell’utente/Comune al 50% della spesa) (cfr., sul punto, la recente sent. n. 36 del 2013 della Corte costituzionale). Il differimento sine die delle prestazioni, ovvero la possibilità, per i casi pur definiti “urgenti”, di un’attesa fino a 90 giorni, determinano un’evidente compromissione dei LEA per soggetti i quali invece, in base alla predetta normativa, avrebbero diritto ad ottenere le prestazioni; ed è anche evidente che, date le particolari caratteristiche dei soggetti coinvolti (a causa della loro età e delle patologie sofferte), un’attesa eccessivamente protratta nel tempo (come nella specie) può quasi sicuramente equivalere ad una negazione definitiva del diritto, andando così in manifesto contrasto con il “nucleo irriducibile del diritto alla salute protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana” (cfr. Corte cost., sent. n. 509 del 2000).

 

4.2. Né possono addursi a giustificazione gli obblighi stabiliti dalla legge per le Regioni soggette al c.d. piano di rientro (art. 1, comma 174, della legge n. 311 del 2004) e la previsione, a livello legislativo, dello strumento delle “liste di attesa” di cui all’art. 1, comma 280, della legge n. 266 del 2005.

Per un verso, infatti, non può dimenticarsi che le pur stringenti esigenze di contenimento dei costi, anche per quelle Regioni (come il Piemonte) che si trovino nelle condizioni di squilibrio economico-finanziario, non può ridondare in danno del diritto dei cittadini – costituzionalmente protetto – al godimento del già ricordato “nucleo irriducibile” della tutela della salute, coincidente, per quello che qui interessa, con la previsione dei LEA dell’area dell’integrazione socio-sanitaria. Ciò, non foss’altro perché si trovano contrapposti, nella specie, due interessi di rango diverso: da un lato, l’interesse all’equilibrio dei conti economici nel settore della sanità, protetto dalla legge; dall’altro lato, l’interesse dei cittadini a vedersi garantito il bene della salute umana che “rappresenta, in forza dell’art. 32 Cost., quel diritto primario e fondamentale che [...] impone piena ed esaustiva tutela” (così Corte cost., sent. n. 992 del 1988). Peraltro, anche a voler sostenere che il divieto di maggiori spese nel settore sanitario trovi ora una copertura costituzionale nel nuovo testo dell’art. 81 Cost. o, per quello che concerne più direttamente le Regioni, nel nuovo testo dell’art. 119, comma 1, Cost. (quali modificati dalla legge cost. n. 1 del 2012, ma solo a decorrere dall’esercizio finanziario 2014) – conclusione, peraltro, tutta da dimostrare –, riemergerebbe comunque la necessità di un suo bilanciamento con il diritto costituzionale alle prestazioni sanitarie di cui all’art. 32 Cost., bilanciamento che non potrebbe giammai concludersi con il totale azzeramento della seconda istanza. Quest’ultima, infatti, dovrebbe pur sempre essere salvaguardata almeno nel suo contenuto minimo, al di sotto del quale essa rimarrebbe un guscio vuoto. E quel contenuto minimo non può non essere identificato proprio nei Livelli Essenziali di Assistenza, quali delineati dal legislatore statale nell’esercizio della propria competenza legislativa esclusiva in materia di “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” (art. 117, comma 2, lett. m, Cost.). Come ha di recente statuito la Corte costituzionale, peraltro, “il soddisfacimento di tali livelli non dipende solo dallo stanziamento di risorse, ma anche dalla loro allocazione e utilizzazione” (Corte cost., sent. n. 36 del 2013): se davvero, pertanto, l’esecuzione del programma di solidarietà sancito in Costituzione (e ormai avviato anche dalla legge che ha previsto i LEA) incontra ostacoli di natura economico-finanziaria per l’obiettiva carenza di risorse stanziabili, il rimedio più immediato non è la violazione dei LEA ma è una diversa allocazione delle risorse disponibili, che spetta alle singole amministrazioni (nel caso, alla Regione) predisporre in modo tale da contemperare i vari interessi costituzionalmente protetti che domandano realizzazione.

Per altro verso, anche volendo valorizzare il disposto di cui all’art. 1, comma 280, lett. a,della legge n. 266 del 2005 – il quale, come è noto, ammette che talune prestazioni pur riconducibili al catalogo dei LEA (ossia, al d.P.C.M. 29 novembre 2001) possano essere sottoposte a “tempi massimi di attesa”, nel quadro del c.d. Piano nazionale di contenimento dei tempi di attesa – la sua invocazione non può tornare utile, nel presente giudizio, all’amministrazione resistente. Tale norma, infatti, stabilisce che tali “tempi massimi di attesa” debbano essere oggetto di preventiva fissazione da parte della Regione entro il termine di novanta giorni dalla stipula dell’apposita intesa tra Stato e Regioni concernente il Piano nazionale di contenimento dei tempi di attesa. E’ dunque evidente che la fissazione regionale dei tempi di attesa deve muoversi nel rispetto delle indicazioni provenienti dal citato Piano nazionale la cui ultima edizione, valida per il triennio 2010-2012, è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 274 del 23 novembre 2010 (suppl. ord.). Quest’ultimo, nel prefiggersi lo scopo del “contenimento” dei tempi di attesa (e non, all’opposto, di giustificare qualsiasi estensione temporale del ritardo delle prestazioni), e nel fissare di conseguenza l’obiettivo di “intercettare il reale bisogno di salute, di ridurre l’inappropriatezza e di rendere compatibile la domanda con la garanzia dei LEA”, ha stabilito che la soluzione del problema delle liste di attesa “deve coniugare il bisogno espresso con adeguate strategie di governo della domanda che tenga conto di rigorosi criteri sia di appropriatezza che di priorità delle prestazioni”, e ancora che il governo delle liste di attesa deve essere “finalizzato a garantire un appropriato accesso dei cittadini ai servizi sanitari”. Dunque il vero criterio centrale che deve guidare le Regioni nella fissazione dei tempi massimi di attesa, in base all’apposito Piano nazionale, è quello dell’appropriatezza della risposta sanitaria, in uno con l’adeguatezza delle strategie di governo della domanda: una disciplina delle liste di attesa che si sveli essere “inappropriata” o “inadeguata” non potrà, dunque, essere considerata legittima. Proprio questa è la situazione delle liste di attesa stabilite dalla d.G.R. n. 14-5999, del 25 giugno 2013: esse, alla luce delle gravi criticità prima segnalate, non possono affatto dirsi “appropriate” rispetto agli obiettivi di intercettare il reale bisogno di salute degli anziani non autosufficienti, posto che perfino i casi definiti “urgenti” (e coincidenti, come detto, con un’esigua minoranza) sono destinati ad ottenere l’accesso alle prestazioni entro un termine abnorme (90 giorni); né esse possono affatto dirsi “adeguate” in punto di governo della domanda, in quanto – come visto – non tutti gli anziani non autosufficienti sono ammessi con sicurezza al godimento delle prestazioni, ma solo quelli che ottengono un punteggio uguale o superiore a 19.

In definitiva, anche sotto questo aspetto, rimane confermata la violazione dei LEA (in quanto le liste di attesa non si mostrano in grado di “rendere compatibile la domanda con la garanzia dei LEA”, come stabilito dal Piano nazionale) e, quindi, la loro illegittimità, con assorbimento delle restanti censure.

 

5. Può ora passarsi alla disamina di quella parte del ricorso introduttivo riguardante la previsione, nel modello integrato dei servizi socio-sanitari per gli anziani non autosufficienti (di cui alla d.G.R. n. 45-4248, del 30 luglio 2012, Allegato n. 1, par. n. 8), delle tre fasi dei servizi residenziali extra-ospedalieri (intensiva, estensiva e di lungoassistenza), con fissazione di una durata massima prestabilita per ciascuna delle tre fasi (rispettivamente: 10 giorni, 20 giorni e 30 giorni) e con la previsione che, dal 61° giorno, la prestazione diventi a totale carico del paziente.

Deve qui premettersi che, con la successiva d.G.R. n. 85-6287, del 2 agosto 2013, la Giunta regionale pare aver inciso sulla materia de qua in quanto il punto 1.9 dell’Allegato A così ha disposto: “Nell’Allegato 1 [della d.G.R. n. 45-4248, n.d.r.], il punto 8 ‘Il percorso di continuità assistenziale nell’ambito di strutture residenziali socio-sanitarie’ è abrogato”. Tale “abrogazione”, tuttavia, non esplicita qual è la normativa di risulta: non si dispone la reviviscenza della normativa previgente, ma si precisa solo che “si procederà con successivo provvedimento alla revisione delle prestazioni di continuità assistenziale”, per il momento consentendo peraltro il mantenimento di queste ultime “nelle RSA adeguando i requisiti organizzativi alla continuità assistenziale a valenza sanitaria di cui alla DGR 6-5519 del 14 marzo 2013”. Non è chiaro, comunque, in base a quale normativa i percorsi di continuità assistenziale saranno, in quest’ultima ipotesi, disciplinati. Nell’obiettiva situazione di incertezza interpretativa che ciò determina – incertezza sulla quale nemmeno l’amministrazione resistente è intervenuta a far luce, nelle ultime memorie difensive depositate – questo TAR ritiene opportuno esaminare, nel merito, le censure che il ricorso introduttivo aveva diretto avverso il sistema di continuità assistenziale quale disegnato dalla d.G.R. n. 45-4248, del 30 luglio 2012, Allegato n. 1, par. n. 8, anche per indirizzare la futura attività conformativa dell’amministrazione.

Le censure al riguardo formulate dalle associazioni ricorrenti non sono fondate, nei sensi di cui appresso si dirà.

Le disposizioni impugnate debbono infatti essere correttamente intese. Nell’ambito del percorso integrato socio-sanitario che assiste l’anziano non autosufficiente, il passaggio dal ricovero ospedaliero al ricovero residenziale è finalizzato alla garanzia di una continuità assistenziale che accompagni il paziente verso il recupero funzionale ed il suo inserimento presso strutture domiciliari o di minore impegno sanitario. L’avvenuto ricovero residenziale, a seguito delle dimissioni ospedaliere, presuppone quindi l’attivazione della seconda fase del percorso socio-sanitario, ossia quella a maggiore caratterizzazione sociale, la quale a sua volta si articolerà nei successivi tre passaggi (dal più intensivo al meno intensivo). Il tutto, nella prospettiva di un recupero dell’autosufficienza che può individuarsi quale momento terminale del percorso di continuità assistenziale (nell’accezione, come detto, di integrazione socio-sanitaria). In modo non manifestamente irragionevole le impugnate disposizioni hanno quindi previsto una degenza a totale carico del Servizio sanitario regionale fino ad un massimo di trenta giorni, articolati nelle prime due fasi (intensiva ed estensiva), ed una successiva degenza con compartecipazione dell’utente/Comune al 50% per altri trenta giorni (ciò, per la terza fase, quella di lungoassistenza), scaduti i quali si intende completato il percorso assistenziale in quanto – evidentemente – si prevede la fine della non autosufficienza del paziente. Tale modello è in linea con le sopra evidenziate necessità di bilanciamento tra valori contrapposti, fintanto che la condizione di non autosufficienza rimanga oggetto delle tutele stabilite dalle norme sui LEA: se al 61° giorno, come si prevede astrattamente, la non autosufficienza è cessata, ben si giustificherà l’accollo totale della spesa al paziente, ormai funzionalmente recuperato e quindi in grado di transitare presso altre strutture a minor impatto sanitario; ma se al 61° giorno, contrariamente alle aspettative, la condizione di non autosufficienza dovesse permanere, la previsione della spesa a totale carico del paziente cozzerebbe con le norme sui LEA le quali, all’Allegato n. 1.C, punto 9, del d.P.C.M. 29 novembre 2001, stabiliscono la compartecipazione dell’utente/Comune al 50% della spesa per la fase di lungoassistenza. Questa è dunque la condizione di legittimità in presenza della quale le impugnate disposizioni possono essere salvate: esse devono leggersi nel senso che, anche dopo il 60° giorno di degenza, la compartecipazione alla spesa dell’utente/Comune va mantenuta al 50% fintanto che l’anziano permanga nella condizione di non autosufficiente. Così interpretate le impugnate disposizioni si sottraggono alle proposte censure di legittimità, in quanto si svelano in linea con la normativa sui LEA.

Quanto, poi, alle censure che lamentano la mancata previa valutazione del “bisogno” della persona, anch’esse devono essere respinte per ragioni analoghe: ciò in quanto, una volta stabilito che le disposizioni della d.G.R. impugnata non escludono la permanenza dell’anziano non autosufficiente nei centri residenziali pur alla scadenza del 61° giorno (e pur non più gratuitamente, ma con l’applicazione della compartecipazione alla spesa nella misura stabilita dal d.P.C.M. 29 novembre 2001), si rende evidente che spetterà all’apposito U.V.G. la previa valutazione del bisogno dell’anziano finalizzata proprio all’applicazione del suddetto regime, anche in chiave di costante monitoraggio del percorso assistenziale, nella misura e con le modalità peraltro già prescritte dalla medesima d.G.R. (cfr., al riguardo, i paragrafi 9 e ss. dell’Allegato 1).

 

6. Deve adesso passarsi all’ulteriore aspetto di censura nell’ambito del modello di assistenza socio-sanitaria per gli anziani non autosufficienti, ossia quello concernente i trasferimenti in ambulanza per l’effettuazione di prestazioni diagnostiche e specialistiche non reperibili presso la struttura ospitante (Allegato A, par. n. 1.7, della successiva d.G.R. n. 85-6287 del 2 agosto 2013, impugnata con i secondi motivi aggiunti), trasporti messi a totale carico del paziente nell’ipotesi in cui quest’ultimo sia privo di convenzione.

Va qui premessa la sopravvenuta carenza di interesse delle associazioni ricorrenti in ordine alla disamina di quella parte del ricorso introduttivo che aveva affrontato analoga problematica: l’originaria fonte della disciplina impugnata (l’Allegato n. 1, par. n. 5.5, ultimo cpv., della d.G.R. n. 45-4248, del 30 luglio 2012) è stata infatti sostituita dalla successiva d.G.R. n. 85-6287, del 2 agosto 2013, in termini peraltro del tutto analoghi. La relativa impugnazione va, pertanto, dichiarata improcedibile.

L’impugnazione della successiva d.G.R. n. 85-6287, del 2 agosto 2013 (di cui ai secondi motivi aggiunti), per tale parte, non è fondata. La doglianza si presenta, anzitutto, generica laddove afferma che i trasferimenti in ambulanza “rappresentano ‘prestazioni sanitarie’ e non possono essere poste a totale carico dell’assistito”: non viene infatti indicato alcun parametro di legittimità rispetto al quale sia possibile concludere che, in quanto “prestazioni sanitarie”, tali trasferimenti dovrebbero essere gratuiti. Sul punto, è comunque da escludere che ci si trovi nell’ambito dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA): come già statuito da questa Sezione in alcuni analoghi precedenti, tale tipo di trasporto costituisce una prestazione di carattere strumentale ed accessorio rispetto a quelle più propriamente socio-sanitarie, tant’è vero che esso non appare nell’elenco dei LEA (di cui al d.P.C.M. 29 novembre 2001) laddove vengono menzionate solo le prestazioni direttamente afferenti alla cura ed all’assistenza del disabile (come quelle ambulatoriali, riabilitative, diagnostiche, terapeutiche, di assistenza protesica, di rimborso di spese di cura e di soggiorno all’estero per programmi riabilitativi in centri di elevata specializzazione, ecc.) ma non anche quelle che si assumono essere strumentali alle prime, salvo alcune eccezioni che vengono espressamente stabilite (come per le ipotesi del trasporto effettuato in regime di urgenza o il trasporto al centro dialisi per i nefropatici cronici) (cfr. TAR Piemonte, sez. II, sentt. nn. 695 e 1334 del 2013). Non è poi condivisibile il profilo di disparità di trattamento adombrato nelle censure di parte ricorrente, mediante il quale si evidenzia che il pagamento così chiesto all’anziano dipende dalla circostanza, a lui non imputabile, che un determinato esame sanitario non sia erogabile presso la struttura residenziale che lo ospita: si tratta, infatti, di un pregiudizio fattuale che non discende direttamente dall’impugnata previsione ma che è direttamente ascrivibile ad una mancanza (o presunta tale) della struttura ospitante, e che dunque non può assumere alcuna giuridica rilevanza in punto di legittimità della disposizione che impone il pagamento del trasporto.

 

7. Si passa adesso alla disamina delle altre censure riguardanti la d.G.R. n. 85-6287, del 2 agosto 2013 (di cui ai secondi motivi aggiunti).

E’ anzitutto fondata la censura concernente l’avvenuto aumento delle quote di compartecipazione tra Servizio sanitario regionale ed utente/Comune, per gli inserimenti nei Nuclei Alzheimer Temporanei (NAT) e nei Centri diurni per malati di Alzheimer. La delibera impugnata ha qui previsto una compartecipazione della spesa al 50% (a fronte della previgente disciplina che, invece, aveva stabilito quote di compartecipazione diverse e più favorevoli per l’utente). Il d.P.C.M. 29 novembre 2001, all’Allegato 1.C, tuttavia, fa rientrare tra i LEA anche le attività socio-sanitarie a favore di persone con problemi psichiatrici, categoria nella quale sono sicuramente da ascrivere i pazienti malati di Alzheimer. Tali attività vengono poste a totale carico del Servizio sanitario sia nelle ipotesi di assistenza domiciliare e semi-residenziale (cfr. le relative tabelle ai punti 7 e 8), sia in quella di assistenza residenziale (laddove l’unica eccezione è costituita dalle prestazioni terapeutiche e socio-riabilitative svolte in strutture a bassa intensità assistenziale, per le quali si prevede una quota di compartecipazione alla spesa, per l’utente/Comune, pari al 60%: eccezione che, tuttavia, non viene in rilievo nella presente fattispecie).

Non fondato è, invece, il profilo concernente la mancata previsione del c.d. minimo vitale. Nell’ambito degli aumenti tariffari introdotti, in generale, per tutti i ricoveri in RSA degli anziani malati cronici non autosufficienti, le ricorrenti hanno qui lamentato la mancata garanzia, a favore dell’utente, di un c.d. “minimo vitale”, invocando a parametro di legittimità le norme di cui alla d.G.R. n. 39-11190, del 6 aprile 2009, ed alla d.G.R. n. 37-6500, del 23 luglio 2007. Queste ultime, tuttavia, come recentemente statuito da questa Sezione (cfr. sent. n. 326 del 2013), sono caratterizzate da una natura meramente programmatica e non immediatamente cogente, in quanto sia la previsione di una “franchigia” per le spese personali dell’utente (di cui alla d.G.R. n. 39-11190, del 6 aprile 2009), sia la previsione di una somma minima da lasciare a disposizione del beneficiario per le proprie esigenze e spese personali (di cui alla d.G.R. n. 37-6500, del 23 luglio 2007) sono state inserite in un più complesso quadro di misure incentivanti per gli enti erogatori delle prestazioni, tale per cui l’adeguamento a siffatte previsioni costituiva solo un mero invito (assistito, per l’appunto, dalla previsione di un incentivo economico) e non un obbligo. Nei confronti della stessa Regione, peraltro, non può non osservarsi che le invocate previsioni erano contenute in atti aventi pari rango (delibere di Giunta regionale) rispetto a quella, adesso impugnata, che le ha eliminate: ne discende, sotto questo profilo, la legittimità dell’avvenuta loro eliminazione, in quanto fenomeno riconducibile ad una mera successione temporale di fonti equiordinate.

Generico, e quindi inammissibile, è infine il profilo di censura concernente un presunto difetto di istruttoria della d.G.R. n. 85-6287, argomentato a partire dalla previsione di un futuro aumento del 15% dei posti letto disponibili per il servizio sanitario regionale entro la fine del 2015. Lamentano qui le ricorrenti che, nel prevedere ciò, la Regione non avrebbe fornito alcun dato “che consenta di comprendere l’andamento delle liste di attesa”; ma esse non si premurano di specificare qual è, in concreto, la lesione prodotta da siffatta situazione nella sfera giuridica dei propri associati.

 

8. In conclusione, i secondi motivi aggiunti vanno accolti solo in parte, con conseguente annullamento dell’Allegato A della d.G.R. n. 14-5999, del 25 giugno 2013 (concernente il sistema delle liste di attesa per la presa in carico dell’anziano non autosufficiente), e della d.G.R. n. 85-6287, del 2 agosto 2013, nella parte in cui quest’ultima, per gli inserimenti nei Nuclei Alzheimer Temporanei (NAT) e nei Centri diurni per malati di Alzheimer, stabilisce la quota di compartecipazione per l’utente/Comune nella misura del 50% (cfr. parr. nn. 4.1 e 4.2).

Il ricorso introduttivo deve invece essere respinto, nei sensi di cui in motivazione, per la parte riguardante la previsione, nel modello integrato dei servizi socio-sanitari per gli anziani non autosufficienti (di cui alla d.G.R. n. 45-4248, del 30 luglio 2012, Allegato n. 1, par. n. 8), delle tre fasi dei servizi residenziali extra-ospedalieri (intensiva, estensiva e di lungoassistenza), con fissazione di una durata massima prestabilita per ciascuna delle tre fasi (rispettivamente: 10 giorni, 20 giorni e 30 giorni) e con la previsione che, dal 61° giorno, la prestazione diventi a totale carico del paziente, in quanto quest’ultima previsione deve essere interpretata – così come illustrato supra, al par. n. 5 – alla luce della percentuale di compartecipazione alla spesa stabilita dall’Allegato n. 1.C, punto 9, del d.P.C.M. 29 novembre 2001.

Le restanti parti del ricorso introduttivo, nonché i primi motivi aggiunti, vanno dichiarati improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse (parr. nn. 4 e 6).

Le restanti parti dei secondi motivi aggiunti vanno in parte respinte, in quanto non fondate, ed in parte dichiarate inammissibili (par. n. 7)

Gli atti di intervento ad adiuvandum, infine,vanno dichiarati inammissibili nella parte in cui essi hanno introdotto censure nuove e diverse rispetto a quelle specificamente trattate dalle associazioni ricorrenti (par. n. 2).

In considerazione della soccombenza reciproca, nonché della delicatezza e della complessità delle questioni trattate, il Collegio rinviene giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite tra tutte le parti costituite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Sezione seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe,

a) accoglie in parte i secondi motivi aggiunti e, per l’effetto, annulla l’Allegato A della d.G.R. n. 14-5999, del 25 giugno 2013, e la d.G.R. n. 85-6287, del 2 agosto 2013, nella parte indicata in motivazione;

b) respinge in parte il ricorso introduttivo, nei sensi di cui in motivazione;

c) dichiara la restante parte del ricorso introduttivo, nonché i primi motivi aggiunti, improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse;

d) respinge, per la restante parte, i secondi motivi aggiunti ed in parte li dichiara inammissibili;

e) dichiara parzialmente inammissibili gli atti di intervento ad adiuvandum, nella parte specificata in motivazione;

f) compensa le spese di giudizio tra tutte le parti costituite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 15 gennaio 2014 con l'intervento dei magistrati:

Vincenzo Salamone, Presidente

Savio Picone, Primo Referendario

Antonino Masaracchia, Primo Referendario, Estensore

 

   

 

   

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

   

 

   

 

   

 

   

 

   

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 31/01/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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