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Il Difensore civico nella tutela dei diritti

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L’IMPORTANZA DEL RUOLO DEL DIFENSORE CIVICO NELLA TUTELA DEL DIRITTO ALLE CURE DEGLI ANZIANI MALATI CRONICI NON AUTOSUFFICIENTI

(a cura della Fondazione promozione sociale onlus)

Nella nostra attività di tutela dei casi individuali, è frequente che ci si rivolga, tra i vari Enti competenti, anche all’Ufficio del Difensore civico regionale.

Il Difensore civico regionale è una figura di garanzia, che esercita un controllo sul buon andamento dell’attività amministrativa, a cui i cittadini possono rivolgersi per presentare reclami e segnalare eventuali problematiche. Il Difensore civico è inoltre investito della funzione di Garante per il diritto alla salute, nell’esercizio della quale è chiamato a verificare che venga soddisfatto dall’Amministrazione l’interesse alla qualità, all’efficienza e al buon funzionamento dei servizi apprestati dal sistema sanitario regionale, ivi compresi quelli erogati da privati in regime di convenzione (articolo 2, legge 8 marzo 2017, n. 24 e articolo 2, comma 4 bis, legge regionale del Piemonte 9 dicembre 1981, n. 50).

E’ proprio in ragione del suo ruolo di Garante per il diritto alla salute che i cittadini possono rivolgersi al Difensore civico regionale nei casi in cui si voglia richiedere il suo intervento a tutela della corretta applicazione delle norme nazionali relative ai Livelli essenziali delle prestazioni sanitarie e socio-sanitarie (Lea) e, più in generale, della tutela del diritto alla salute dei cittadini malati.

Di seguito, riportiamo alcuni casi, relativi a situazioni da noi seguite, che dimostrano come l’intervento del Difensore civico regionale possa essere determinante per ottenere il rispetto delle norme vigenti in materia sanitaria.

Non esistono limiti temporali per le cure sanitarie e socio-sanitarie. Intervento del Difensore civico del Lazio

La signora Marta (nome di fantasia) si era rivolta alla Fondazione promozione sociale per il ricovero della propria madre, anziana malata cronica non autosufficiente, presso una struttura di lungodegenza di Roma a seguito di un ricovero ospedaliero. La Casa di cura in questione aveva richiesto alla figlia la sottoscrizione di un modulo denominato “Dichiarazione di impegno dei familiari”, con il quale il familiare era tenuto a dichiarare «di essere a conoscenza che il ricovero presso questa casa di cura nel reparto di lungodegenza medica post-acuzie è istituzionalmente previsto per un periodo massimo di 60 giorni, trascorsi i quali il/la paziente sopra menzionato/a sarà dimesso/a entro le ore 12,00».

A seguito della segnalazione inviata ai vari Enti competenti (Direzione generale dell’Asl, Assessorato alla Sanità, Difensore civico, etc.), il Difensore civico della Regione Lazio interviene sulla vicenda, confermando la posizione della Fondazione e ricordando che la sentenza n. 1858/2019 del Consiglio di Stato, «ha decisamente escluso l’automatismo delle dimissioni trascorsi sessanta giorni dal ricovero», richiedendo quindi alla Direzione Salute e Integrazione sociosanitaria della Regione Lazio ed al Direttore generale dell’Asl Roma 3 di verificare la compatibilità del documento predisposto dalla Casa di cura alla luce della normativa vigente.

Il Difensore civico rileva altresì che «il diritto alle cure degli infermi cronici non autosufficienti fonda le sue radici nel concetto di assistenza sanitaria inteso come “complesso degli interventi positivi per la tutela e promozione della salute umana” (Corte Costituzionale, Sentenza n. 382/1999) e nell’ordinamento giuridico italiano, l’art. 32, primo comma, Cost. tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo, oltre che come interesse della collettività; e non v’è dubbio, che tale diritto appartenga altresì al novero dei diritti inviolabili dell’uomo riconosciuti dall’art. 2 Cost. Dal diritto di parola discende, a carico dei poteri pubblici, “l’obbligo positivo di assicurare i trattamenti sanitari indispensabili per la tutela della salute della persona” (Corte Costituzionale, Ordinanza n. 216/2021)».

A seguito di un ulteriore intervento dell’Asl competente, la Casa di cura ha provveduto a correggere il modulo informativo, in conformità con le norme vigenti.

L’obbligo di integrazione della retta da parte dei Comuni. Intervento del Difensore civico della Lombardia

A seguito della richiesta di aiuto pervenuta dall’Amministratore di sostegno di una persona con disabilità grave e in condizione di non autosufficienza ricoverata presso una struttura residenziale socio-sanitaria, la Fondazione è intervenuta nei confronti di un Comune lombardo, il quale richiedeva, ai fini dell’integrazione della retta alberghiera, la documentazione attestante la «situazione economica dei tenuti agli alimenti ai sensi dell’art. 433 c.c. (Saldo e movimenti conto corrente, depositi bancari, postali, titoli, ISEE)».

In particolare si è richiesto al Difensore civico regionale di intervenire al fine di garantire l’applicazione della normativa vigente sull’Isee (Dpcm 159/2013 e s.m.i), già comprensiva della situazione economica di eventuali congiunti, rilevando che nel caso in specie la persona, senza coniuge né figli, è persona con disabilità in situazione di gravità e non autosufficiente e, pertanto, ai sensi del sopra citato decreto, fornirà la situazione Isee relativamente alla sola interessata che fa nucleo a sé stante.

Il Difensore civico della Regione Lombardia ha in questo caso riconosciuto che «L'art. 2, comma 1, del DPCM 159/2013 ha espressamente stabilito che l’applicazione dell’ISEE (da determinare con le modalità previste nel decreto stesso) ai fini dell’accesso alle prestazioni sociali agevolate, nonché della definizione del livello di compartecipazione al costo delle medesime, costituisce livello essenziale delle prestazioni ed è, quindi, vincolante per le Regioni e per i Comuni (…) non è pertanto possibile continuare a prevedere il coinvolgimento, per il pagamento della retta, dei soggetti tenuti agli alimenti ai sensi dell'art. 433 del codice civile».

Inoltre, il Difensore civico ha osservato che «la mancata modifica del regolamento comunale in senso coerente con le disposizioni sopra indicate si sostanzia nella mancata applicazione della normativa sull’ISEE per la definizione del livello di compartecipazione al costo delle prestazioni sociali agevolate, che costituisce - come già detto - livello essenziale di assistenza, precludendo di fatto l’erogazione delle prestazioni stesse agli aventi diritto (…) In considerazione di quanto finora rappresentato, si invita codesto Comune a provvedere tempestivamente ad adeguare il proprio regolamento alle disposizioni del DPCM 159/2013 e successive modifiche».

L’obbligo di mantenimento del coniuge prevale sul pagamento della retta di degenza in Rsa. Intervento del Difensore civico dell’Emilia-Romagna

Il signor Marco (nome di fantasia) si era rivolto alla Fondazione promozione sociale per una questione relativa al ricovero in convenzione con il Servizio sanitario del proprio padre, anziano malato cronico non autosufficiente, in una Rsa del modenese. In particolare, il padre non disponeva dei mezzi economici necessari per far fronte alla retta alberghiera a proprio carico. Il figlio, si era dunque attivato con il locale Consorzio dei servizi socio-assistenziali per ottenere l’integrazione della retta alberghiera, ottenendo quanto richiesto.

Nel momento in cui però il paziente ha iniziato a percepire l’indennità di accompagnamento da parte dell’Inps, il Consorzio ha ritenuto di non essere più tenuto a compartecipare al pagamento della retta alberghiera. In tal caso, però, oltre al danno al paziente, a risentirne era anche la moglie, priva di mezzi economici propri, che a questo punto non poteva più contare sulla pensione del marito, interamente versata alla Rsa insieme all’indennità di accompagnamento.

Interrogato sulla questione, il Difensore civico ha confermato che il Consorzio è tenuto ad applicare quanto previsto dalle norme vigenti, che tutelano il coniuge privo di mezzi di sostentamento propri. Il Difensore civico ha infatti riconosciuto che «la ratio sottesa all’ISEE è, infatti, anche quella di tenere conto dei familiari a carico, di modo che sia preservata la possibilità di mantenere delle entrate residue sufficienti al mantenimento di queste persone». In questo caso, il Difensore civico nota inoltre l’irrazionalità della valutazione del Consorzio che «dapprima prende atto che la moglie del sig. *** è privata del necessario per vivere a motivo del nuovo calcolo della retta. Immediatamente dopo, tuttavia, le consiglia di rivolgersi agli stessi Servizi sociali per ricevere gli aiuti economici, costringendo una persona anziana ed in situazione personale e familiare già critica a dover farsi carico di ulteriori pratiche burocratiche».

In questo caso, il Difensore civico interviene anche in merito al conteggio dell’indennità di accompagnamento, riconoscendo che, ai fini dell’integrazione della retta in Rsa, questa non possa essere considerata come “reddito” del malato. Nota sul punto il Difensore civico che «da quanto emerge dalle comunicazioni del Servizio sociale, l’indennità di accompagnamento è stata di fatto assimilata ad un’ulteriore fonte di reddito di cui tenere conto nel calcolo dell’ISEE e, comunque, nel calcolo della compartecipazione alla retta. Fatte salve le osservazioni contrarie del Servizio competente, il ricalcolo/aumento della retta così fatto è illegittimo (…) la giurisprudenza ha costantemente affermato che “In merito alla definizione della condizione economica dell’assistito l'art. 2 co. 1 del d.P.C.M. n. 159/2013 prevede che "La determinazione e l'applicazione dell'indicatore ai fini dell'accesso alle prestazioni sociali agevolate, nonché della definizione del livello di compartecipazione al costo delle medesime, costituisce livello essenziale delle prestazioni, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, fatte salve le competenze regionali in materia di normazione, programmazione e gestione delle politiche sociali e sociosanitarie e ferme restando le prerogative dei comuni". “La norma statale e regionale” “stabilisce chiaramente che non solo l’accesso, ma anche la compartecipazione al costo delle prestazioni sociosanitarie e sociali è stabilita avendo come base la disciplina statale sull’indicatore della situazione economica equivalente. Deve quindi escludersi che il reddito dell’assistito ai fini dell’accesso ed ai fini della determinazione della compartecipazione possa essere definito dal Comune avendo per oggetto elementi diversi”».

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