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Samantha D’Inca, morta dopo 14 mesi di coma vegetativo

Samantha D’Inca, la giovane donna morta a Belluno dopo 14 mesi di coma vegetativo

La giovane era finita in coma vegetativo nel dicembre 2020, dopo una caduta in
casa in cui si era provocata una frattura del femore. Dopo l'operazione e la
riabilitazione prima il gonfiore all'arto, poi, il 4 dicembre, il coma da cui non si
era mai svegliata e la lunga battaglia della famiglia per interrompere i
trattamenti

(articolo tratto da Il fatto quotidiano)

di Giuseppe Pietrobelli | 21 MARZO 2022

 

Si è concluso il dramma di Samantha D’Incà – la trentenne di Mugnai, frazione
di Feltre in provincia di Belluno – finita in coma vegetativo nel dicembre 2020,
un mese dopo essere caduta in casa ed essersi fratturata un femore.

Da allora non si era più risvegliata e non dava segni di poterlo fare.

Per questo i genitori hanno sostenuto una lunga battaglia giudiziaria per ottenere dal Tribunale
l’autorizzazione ad interrompere le cure e ad accompagnarla verso il fine vita.

A novembre il padre Giorgio aveva riottenuto la nomina (in precedenza revocata)
di amministratore di sostegno della figlia, in modo da poter prestare il
consenso informato, per conto di Samantha, alla sospensione dei trattamenti
vitali.

Si trattava della premessa per arrivare alla morte non più soltanto
cerebrale della giovane donna, anche se l’ordinanza aveva stabilito la necessità di
scegliere con i medici le modalità di interruzione dei trattamenti e il necessario
percorso di sedazione palliativa profonda finalizzata ad escludere sofferenza e dolore.

L’epilogo è arrivato il 19 marzo, quando sono stati staccati i macchinari
che tenevano Samantha in vita, nel letto di una Rsa di Belluno in cui era
ricoverata.

Il 12 novembre 2020 Samantha D’Inca era caduta in casa mentre stava uscendo
per andare a lavorare. Un incidente in apparenza banale che le aveva causato la
frattura del femore.

L’intervento chirurgico era stato eseguito all’ospedale di Belluno.

Era seguita la riabilitazione, ma l’arto aveva cominciato a gonfiarsi.
Samantha era stata ricoverata a Feltre. Il 4 dicembre il collasso: inutile il
trasferimento d’urgenza a Treviso: la donna era entrata in coma vegetativo.
Nessuna speranza che si potesse risvegliare, avevano accertato i medici.

A febbraio dell’anno scorso il papà aveva chiesto la nomina di amministratore di
sostegno a favore della figlia, accompagnata dal potere di rifiutare le cure. La
battaglia legale si è prolungata per mesi. L’Uls di Belluno, infatti, aveva ritenuto
che non vi fossero sufficienti elementi per avviare il fine vita.

Nel frattempo era stato nominato un amministratore di sostegno diverso dal padre,
considerando il forte coinvolgimento di Giorgio D’Incà nelle decisioni da prendere.
La famiglia di Samantha ha sempre sostenuto che la ragazza avesse espresso la
volontà di rifiutare qualsiasi accanimento terapeutico. Il problema era la
mancanza di un testamento biologico.
Il giudice Umberto Giacomelli aveva però accettato le testimonianze dei familiari.

Decisive sono state le dichiarazioni del padre: “Samantha ha sempre espresso la
volontà di non essere lasciata in condizioni di coma, tenuta in vita da macchinari,
se c’è la certezza che non vi sia possibilità di risveglio”.
La mamma Genzianella: “Aveva dichiarato che un trattamento di questo tipo è
da persone egoiste e disumane, un accanimento e una violenza…”.
Il fratello gemello: “Lei non voleva chiedere aiuto a nessuno… voleva che le sue
ceneri fossero sparse nel mare, non voleva restare in questa situazione e dispiace
solo che non lo abbia lasciato scritto”.
Così il giudice ha ritenuto che la volontà di Samantha fosse desumibile in modo
“chiaro, univoco e convincente”. A novembre, sulla base del parere del Comitato
Etico secondo cui permanevano “complicanze ed episodi di rigurgito collegati
alla nutrizione artificiale”, ha dato il via libera, pur ponendo un paletto.

Il padre, in quanto amministratore di sostegno aveva “il potere di prestare consenso
all’interruzione dei trattamenti necessari al mantenimento in vita”, aggiungendo
però che ciò “non può comportare anche il potere di decidere ‘se e quando’
sospendere il trattamento di nutrizione artificiale, trattandosi di una decisione
che spetta comunque ai sanitari”. Questi lo possono fare in caso di “un severo
aggravamento e una mancata risposta alle cure erogabili”, oppure di “rischi di
complicanze”. Due giorni fa quel momento è arrivato.

 

https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/03/21/samantha-dinca-la-giovane-donna-morta-a-belluno-dopo-14-mesi-di-coma-vegetativo/6532161/

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